Intervista a Steve Vai

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© Steve Vai
Il virtuoso dei virtuosi ci parla del suo biker-rock album perduto, del suo amico scomparso e di momenti terrificanti che ha vissuto su due ruote. Leggi un estratto dell’intervista a Steve Vai, dall’ultimo numero di Classic Rock!

A prescindere dal progetto o dal periodo, l’unica costante che ci aspettiamo da un disco di Steve Vai è virtuosismo incandescente. Dal suo ruolo anni Ottanta di chitarrista “acrobatico” di Frank Zappa, passando per il suo disco capitale PASSION AND WARFARE (1990) e i tour tra shredder del progetto G3, Vai è diventato sinonimo di funamboliche e quasi inimmaginabili esibizioni. O almeno, così pensavamo fino a oggi. Con una mossa a dir poco spiazzante e geniale, il 62enne newyorkese ha infatti tirato fuori dal cassetto VAI/ GASH, un disco bike-rock registrato nel 1991 e mai pubblicato, caratterizzato da quel tipo di riff in stile AC/DC che ci si aspetterebbe da una garage band di adolescenti. E altrettanto intrigante è la voce del super carismatico amico biker di Vai, Johnny “Gash” Sombrotto, morto tragicamente on the road sette anni dopo quelle session.

Possiamo presumere che tu sia molto soddisfatto di VAI/GASH?
Ne sono stato felice per decenni. È divertente, perché nella mia carriera di tanto in tanto avevo questi attacchi di creatività in cui fermavo tutto quello che stavo facendo, buttavo giù qualcosa in tempi relativamente brevi e poi lo mettevo da parte. Un po’ come dei piccoli segnalibri nella mia vita. Questo disco era uno di quelli e nacque da un desiderio molto semplice: fare musica per me e i miei amici mentre correvamo in sella alle nostre motociclette, negli anni Novanta. Stavo per cantarci io, il che sarebbe stato un disastro. Poi ho scoperto questa voce pazzesca in John Sombrotto: lui è Gash.

Quando lo hai incontrato nel 1990, Gash era già un biker sulla trentina. Dicci di più.
Ho lavorato con molti artisti esuberanti: Dave Roth, Devin Townsend, Frank Zappa. Gash era diverso da tutti loro. Era pazzo, divertente e newyorkese fino al midollo. Devi conoscere i newyorkesi. Gash era adorabile. E anche assolutamente temerario, sempre pronto a spingersi oltre. Non si drogava, ma se il suo atteggiamento alla me-ne-frego non l’avesse ucciso – cosa che ha fatto – l’essere una rock star probabilmente gli sarebbe stato fatale.

In copertina Gash sembra piuttosto minaccioso.

Aveva un aspetto inquietante. A 21 anni ha avuto un brutto incidente. Stava scalando un traliccio dell’alta tensione perché guidando si era perso, e stava cercando di capire dove si trovava. L’elettricità gli ha attraversato il corpo ed è caduto da venti metri su un recinto di filo spinato. Era in condizioni disperate, con il sessanta per cento del corpo ustionato. Ma è sopravvissuto. Il suo orecchio era completamente bruciato. Anche il suo collo. Ma il suo viso era perfetto.

Steve Vai Intervista
© Creative Commons

La tua passione per il motociclismo non è molto nota. Come ti è venuta?
Da bambino ero un appassionato di moto. Costruivo minimoto e go-kart. Non potevo permettermi una vera motocicletta. Mio fratello aveva una Harley, e quando finalmente ho iniziato a guadagnare un po’ di soldi ne ho comprata una. Ero molto addentro alla cultura biker. Mi piacciono, i biker. C’è un’idea preconcetta che siano rozzi e teppisti. Certo, se frequenti solo gang di biker puoi trovarne alcuni così, ma in genere gli altri sono tutte brave persone.

Perché la moto è così emblematica del rock’n’roll?

Be’, ha la reputazione di un giocattolo da cattivo ragazzo. E c’è quell’elemento di libertà. Questo ha un impatto enorme. Pensa solo a come ti senti quando sali su una decappottabile, al contrario di un’auto. Quando le persone si riprendono la loro libertà, diventano se stesse. Ti riprendi il potere, alimenti le fiamme della fiducia in te stesso. E questo ti dà un senso di dignità, scopo e merito. È come se ti dicessi: “Sono degno di essere me stesso, e non m’interessa cosa qualcuno pensi e non mi importa come siano loro”. Questa è la cultura dei motociclisti.

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