I migliori 100 album del 1973 | PROG n.49

prog 1973
Cover Art dall’album On the Road, Traffic, 1973
Il 1973 è l’anno in cui i codici della musica PROG iniziano a complicarsi e differenziarsi, per questo la nostra rivista ha ripercorso e recensito quei 100 album che hanno fatto la storia.

ACQUA FRAGILE - Acqua Fragile

L’esordio degli Acqua Fragile lasciava prevedere un percorso interessante, che poteva dare frutti succulenti in un contesto contaminato, sospeso tra profumi progressivi britannici e armonie più vicine alla West Coast statunitense. Invece solo un altro album, MASS MEDIA STARS (1974) e poi
lo scioglimento con l’ingresso di Bernardo Lanzetti nella PFM. Un’apparente svolta che artisticamente avrebbe potuto dare molto al cantante e al gruppo, ma la magia tra le parti non è mai scoccata, anzi quella iniziale si è bruciata in poco tempo. Con il senno del poi forse sarebbe stato meglio che Bernardo fosse andato avanti con la sua band. Il suono e la produzione di ACQUA FRAGILE sono eccellenti, in particolare per un gruppo esordiente, però basta leggere

i nomi del tecnico del suono, Gaetano Ria, e del produttore, Claudio Fabi, per capire che in quel momento era una coppia vincente, non solo in campo progressivo (insieme avevano realizzato STORIA  DI UN MINUTO e PER UN AMICO della PFM). Morning Comes: brano
ricco di melodia, supportata da un efficace arpeggio chitarristico di Lanzetti, molti l’avvicinano ai Genesis, forse per la parte vocale, mentre a me evoca l’atmosfera della West Coast, anche se indubbiamente quando sale il ritmo il mondo prog si apre in tutta la sua magnificenza. Comic Strips: tastiere e chitarre incrociano la rotta per un dialogo serrato che ricorda Family e i primi Gentle Giant. Education Story è uno dei migliori brani dell’album, decisamente prog sinfonico senza tentennamenti, cantato splendidamente, persino con echi da musical, e suonato
con espressiva forza evocativa, travolgente l’efficace passaggio dal 4/4 al 7/4. Three Hands Man: un caleidoscopio di colori, parti che si rincorrono e si connettono al meglio del rock sinfonico, parte vocale ancora di alto livello e musica resa con efficacia da musicisti che probabilmente suonavano tutti i giorni tutto il giorno! Going Out e Science Fiction Suite? Altri due brani, con le chitarre acustiche e le armonie vocali in odor CSN&Y, che lasciano capire quanto gli Acqua Fragile avrebbero meritato un posto di prima fila nell’universo musicale degli anni Settanta. È un album di alto livello ancora oggi.

PERIGEO - Abbiamo tutti un blues da piangere

Si tratta del secondo Lp del Perigeo, che arriva dopo un masterpiece come AZIMUT. Mica facile anche solo replicare tale qualità. Eppure sin dalla copertina, che evoca una musica già oltre il jazz-rock da cui il progetto partiva, si capisce che il gruppo sta spiccando il volo. Il fantastico dipinto del pittore romano Dario Campanile è inseparabile dalla musica, come capitava spesso negli anni Settanta, sempre di meno oggi perché sono cambiati i parametri per stabilire l’importanza delle cose. Eppure quel dipinto surrealista nasce nel 1971 e solo nel 1972 Dario lo invia alla RCA Italiana in visione come possibile copertina di “qualcosa”. Poi si dice che il destino non esista! In ABBIAMO TUTTI... gli elementi mediterranei s’integrano perfettamente con i colori del jazz-blues atipico del gruppo, sfumato nella libertà di quel codice che si va costruendo, non solo in Italia. Il suo mondo non ha eguali, svincolato persino dai grandi padri dell’elettrificazione nel jazz. La formazione ha una profondità espressiva, compositiva e d’intenti pazzesca, davvero in grado di fregarsene dei paletti stilistici e proporre ciò che gli sembra adeguato. D’altronde stiamo parlando di musicisti come Giovanni Tommaso (voce, basso, contrabbasso), Claudio Fasoli (sassofono alto e soprano), Franco D’Andrea (pianoforte acustico ed elettrico, tastiere), Tony Sidney (chitarra), Bruno Biriaco (batteria, percussioni). Il Perigeo con lavori come questo aiuta molto il jazz, pur nella sua visione poco ortodossa. Affascina e attira tanti appassionati non jazz,
che riconoscono connotati a loro familiari, come la chitarra elettrica spinta dai groove tipici del rock. Nello stesso tempo l’informalità del Perigeo li spiazza un po’. La title-track, apparentemente esile ma emotivamente profonda, nasce da Tommaso che arpeggia lentamente al pianoforte... re minore, do, si bemolle, re o la, tutto su un pedale di re. Lo ispira molto e prova a cantarci sopra un tema, in pochissimo il pezzo è compiuto. Le parole di Giovanni: “Lo scrissi subito per non dimenticarlo. È quasi incredibile che un brano così semplice sia diventato il più ascoltato del nostro repertorio”. Caro Giovanni, niente è incredibile quando si riesce a toccare il cuore della gente con una musica “alta e altra”.

TRAFFIC - On the Road

Della storia del rock la maggior parte dei gruppi sono stati legati a una figura artistica in particolare, come anche i Traffic, inevitabilmente sovrapposti al genio di Steve Winwood: magico vocalist, compositore di livello assoluto, pianista/tastierista dallo stile estremamente espressivo e chitarrista sobrio ma efficace. Mica male per un ragazzo di Birmingham, classe 1948, che con lo Spencer Davis Group aveva inciso il primo album a 17 anni e a 18 il singolo Gimme Some Loving, icona del soul bianco. ON THE ROAD (ottobre) è il secondo live dei Traffic, diverso in parte dei musicisti e nell’atmosfera dal ruvido e frettoloso WELCOME TO THE CANTEEN del 1971, dove il suono era piuttosto intimo e incasinato, come una rimpatriata tra vecchi amici, con nessun brano dal capolavoro JOHN BARLEYCORN MUST DIE (1970). Il doppio ON
THE ROAD non ha canzoni in comune con WELCOME e scaletta decisamente compatta, suonata con più respiro e padronanza tecnica, nonostante in quel tour primaverile del 1973 i Traffic

fossero sull’orlo del precipizio (problemi di droghe per Chris Wood e Winwood, con Steve anche in forte esaurimento nervoso, musicisti americani preparatissimi ma decisamente poco coinvolti nella musica). I concerti italiani di fine marzo 1973 (album registrato in Germania ad aprile) dimostrarono come i Traffic riuscissero a sopperire a queste forti dinamiche distruttive
con la classe cristallina del proprio leader e con la vitalità “operaia” di Jim Capaldi, che sul palco era l’unico a dialogare col pubblico. Settantacinque minuti suddivisi in sei tracce, dove la visione progressiva è obliqua, mai diretta, passando dal soul-blues al jazz, con lunghe divagazioni strumentali che avvolgono l’ascoltatore fino allo sfinimento. La suite iniziale abbina la strumentale Glad, eseguita a 100 all’ora, con la struggente Freedom Rider, entrambe da JOHN BARLEYCORN, e fa capire come il gruppo potrebbe arrivare in cielo se solo volesse, invece che sprofondare all’inferno... poi, nonostante ci siano altre perle, si potrebbe anche chiudere il discorso, questi magici 20 minuti basterebbero per l’acquisto. Un live strepitoso, poi nel 1974 arrivò lo splendido WHEN THE EAGLE FLIES e poco dopo i Traffic deflagrarono...

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