Una goccia di LSD in un mare di rock | PSICHEDELIA

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LSD, come gli psichedelici hanno influenzato la musica rock © Manel Torralba via Flickr
Un estratto dallo speciale sulla PSICHEDELIA: come gli effetti dell’LSD hanno influenzato la musica rock?

A dominare le descrizioni dell’esperienza dell’LSD – fin dalle prime relazioni dei chimici che lo sperimentarono su se stessi – è la presenza assoluta della luce, la suggestione di un’intensa e profonda “illuminazione”, che dalle percezioni alterate si estende metaforicamente alla conoscenza, all’intelligenza emotiva, all’epifania trascendentale. A parlarne furono dapprima gli scienziati, descrivendo i risultati degli esperimenti condotti su se stessi. Queste illuminazioni si manifestano innanzitutto in una profusione di colori, forme, figure. Il chimico svizzero Albert Hofmann per primo sottolineò, in una comunicazione scientifica del 1943, le analogie dell’esperienza psichedelica con gli stati onirici, l’evocazione di forme illusorie, la potente esperienza cromatica: “un flusso ininterrotto di figure fantastiche, di forme straordinarie che rivelavano intensi giochi caleidoscopici di colore”. Quattro anni dopo, il suo collega Werner A. Stoll pubblicava i risultati della sperimentazione rilevando “un’incredibile profusione di allucinazioni ottiche, che apparivano e svanivano a gran velocità”: dapprima forme elementari che “esplodevano in costante e incalzante mutamento”, come “cerchi, vortici, scintille, piogge, croci, spirali”, e poi anche altre “molto più strutturate: archi, file di archi, un mare di tetti, paesaggi desertici, balconi, fiamme guizzanti, cieli stellati di uno splendore straordinario”.

Di fronte a simili visioni, gli scienziati sembravano trasformarsi in poeti. L’indagine chimica assumeva un atteggiamento filosofico, ma accadeva anche l’inverso: filosofi e poeti diventavano indagatori e sperimentatori chimici. Uno dei pionieri era stato Walter Benjamin, tra i massimi filosofi e teorici dell’arte del secolo scorso, il quale, prima consumando l’oppio e poi avvicinandosi alla mescalina (l’alcaloide psichedelico del peyote dagli effetti simili a quelli dell’LSD), già nei primi anni Trenta era rimasto colpito dall’intensificazione della percezione dei colori. Altro soggetto illustre dell’autosperimentazione psichedelica fu uno dei più importanti scrittori e romanzieri inglesi del Novecento, Aldous Huxley, che analizzando il suo primo approccio alla mescalina insisteva nel 1953 sull’“enorme intensificazione [...] della percezione del colore”, rimarcando al tempo stesso che gli oggetti presenti nell’ambiente “splendevano di luce viva”, tra “una lenta danza di luci dorate” e un alternarsi di superfici ondeggianti e sfere multicolori, con una quantità di sfumature cromatiche inaccessibili in condizioni normali.

Questa trasversalità di interventi tra scienziati e artisti era iniziata col gas esilarante, l’ossido di azoto (che è tornato recentemente a infestare le strade di Londra, sotto il nome di hippy crack), scoperto nel 1772 da un chimico inglese che era anche filosofo, Joseph Priestley; una ventina d’anni dopo un altro chimico, Humphry Davy, l’avrebbe sperimentato su un poeta e uno scrittore suoi amici, Samuel Taylor Coleridge e Robert Southey. Lo stesso interscambio si rinnovò per il consumo di oppio o di hashish, inizialmente sotto palesi suggestioni orientaliste. La cannabis, introdotta in Francia da militari napoleonici provenienti dalle campagne egiziane, fu studiata a scopo sperimentale negli anni Quaranta dell’Ottocento dal medico e alienista parigino Jacques Joseph Moreau de Tours, alla ricerca di un coadiuvante nella cura delle malattie mentali.

In quell’epoca si consolida il modello settecentesco, che poi si sarebbe replicato anche nella storia contemporanea: un interesse scientifico per le droghe suscita una curiosità estetica presso artisti e letterati, i quali intraprendono un dialogo – e spesso anche forme di relazione e socializzazione – con gli uomini di scienza che ne promuovevano l’uso sperimentale. Nel Club des Hashischins fondato da Moreau de Tours, si consumava resina di hashish impastata con miele e pistacchi: questi confetti, che venivano mangiati, contenevano un’elevata quantità di sostanza, tale da accrescere il blando potenziale allucinogeno del cannabinolo. Un frequentatore assiduo fu Charles Baudelaire, ma il circolo ospitò i principali letterati francesi delle più varie tendenze: esponenti del romanticismo, del simbolismo, del naturalismo, del realismo e del romanzo d’avventura), e fra i pittori il massimo fra i romantici, Delacroix, e il più geniale fra i caricaturisti satirici, Honoré Daumier.

Del tutto analogo sarebbe stato il dialogo a distanza intrapreso oltre cent’anni dopo da Timothy Leary con i musicisti pop e rock che aderirono alla psichedelia, tenendo in considerazione i suoi consigli “di viaggio” nell’assunzione dell’Lsd, e condividendo l’orizzonte culturale associato all’acido da quello scienziato, propostosi come una sorta di guida spirituale, e come tale accettato dalle frange più visionarie della nuova generazione. La solidarietà fra artisti, pensatori, psicologi (quale era anche Leary) e psichiatri dissidenti (si pensi, in Inghilterra, a Ronald Laing) alimentò fattivamente la scena e la cultura psichedelica degli anni Sessanta...

... tratto dall'articolo "Suoni e colori di un'utopia" di Gianfranco Salvatore, dallo speciale PSICHEDELIA!

 

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