Il nuovo numero di CLASSIC ROCK dedicato a PETER GABRIEL!

peter gabriel, classic rock
Sospirato da oltre vent’anni, il nuovo album di Peter Gabriel è finalmente tra noi: dodici canzoni nuove di zecca…

Cracovia, giovedì 18 maggio 2023. All’esterno della Tauron Arena, la struttura per spettacoli più grande della Polonia, il pubblico, in ordinata attesa, non sa esattamente cosa aspettarsi: il concerto di questa sera, infatti, non significa soltanto il ritorno di Peter Gabriel sul palco dal lontano dicembre 2014 (se non si considera il tour americano del 2016 condiviso con Sting), ma anche, presumibilmente, la premiere del suo nuovo disco, che l’artista inglese ha detto chiaramente essere, finalmente, in dirittura d’arrivo. Anzi, cinque nuove canzoni sono già state pubblicate, seppure solo in digitale, a partire dal mese di gennaio, in concomitanza con ogni luna piena, un vecchio pallino di Gabriel.
Quando finalmente le porte dell’arena si aprono e tutti prendono i loro posti, la prima cosa che gli spettatori notano, alle spalle del sontuoso palcoscenico, è un cerchio fosforescente numerato: un vero e proprio orologio, le cui lancette, però, vengono dipinte in tempo reale, dall’interno, da un instancabile omino in tuta arancione armato di pennello, che ovviamente è costretto a cancellarle di continuo per aggiornare l’orario.

D’altra parte, il tempo, per Peter Gabriel, è sempre stato un concetto molto relativo. Fin da quando, durante l’ultimo atto con i Genesis, era in perenne ritardo con i testi, mentre Tony Banks, Mike Rutherford, Steve Hackett e Phil Collins componevano sempre più musica, contribuendo a trasformare quel capolavoro, THE LAMB LIES DOWN ON BROADWAY, in un doppio album.

peter gabriel, classic rock
L’uomo orologio, che ha introdotto i recenti concerti di Peter Gabriel, è un’idea dell’artista olandese Maarten Baas.

Con il passare degli anni, le cose sono ulteriormente precipitate. Nel corso della conferenza stampa milanese del giugno 2000, dove faceva promozione a OVO,
l’album colonna sonora dell’inaugurazione del Millennium Dome (il grande edificio a forma di cupola nella penisola di Greenwich, a sudest di Londra, che ospitava una
grande mostra per celebrare l’inizio del terzo millennio e che oggi si è trasformato nella ben nota O2 Arena), Peter ci scherzò su: “Ho appena compiuto 50 anni. E a questa età si è più lenti”. Ma quando solo due anni dopo, a pochi mesi dalla pubblicazione di UP (settembre 2002), Gabriel annunciò di avere già praticamente pronto il successore e che lo avrebbe intitolato I/O, tutti andarono in fibrillazione. In realtà solo oggi I/O è un oggetto tangibile, un progetto costruito in 21 anni fatti di tanta pazienza. Da parte dell’artista, e ancor più dei suoi esausti ammiratori. 

In verità anche l’intervallo tra UP e il suo predecessore, US del 1992, era stato esagerato. Ma in quel caso le distrazioni per Gabriel erano state tante: un lungo tour, poi il progetto OVO e infine la colonna sonora del film Rabbit Proof Fence, ribattezzata, nella versione discografica, LONG WALK HOME (terza soundtrack dopo BIRDY e lo splendido PASSION). Solo che, nei sette anni di lavorazione di UP, il mondo del rock era stato rivoltato come un calzino, con l’esplosione e l’implosione di generi e sottogeneri tra cui il grunge, il prog metal, il post rock, il new punk, il rap, l’elettronica, il Britpop e innumerevoli altri. In risposta a tutto questo, Gabriel se ne uscì con un disco intenso, ma molto cupo. “Se lo riascolto”, disse, “mi rendo conto che contiene diverse canzoni tristi. Ho sempre trovato più difficile scrivere musica allegra che malinconica, ma personalmente sto molto bene al momento, e credo che questo disco lo testimoni più dei due precedenti. Del resto, nel trittico SO, US, UP [messi insieme, i tre titoli suonano tipo: ‘e allora, tutto bene?, nda] c’era una specie di inno alla guarigione, che volevo far risaltare”. Guarigione dal dolore e dai lutti (i testi di I Grieve e No Way Out parlano chiaro), ma anche dalla paura (Darkness invita ad affrontarla, anziché scacciarla). E poi guardare il futuro con ottimismo, forte di una nuova relazione affettiva: in quello stesso 2002, Gabriel si era risposato con Meabh Flynn, già assistente degli studi Real World, che gli avrebbe dato due figli, Isaac e Luc.

Ma I/O, invece? Nel frattempo, Gabriel è diventato nonno e Meabh è miracolosamente guarita da una brutta malattia. Ma lui ha perduto entrambi i genitori, sebbene in tardissima età. E se a papà Ralph ancora in vita aveva fatto in tempo a dedicare la toccante Father Son del 2000, con la mamma rimedia con il brano And Still, contenuto proprio in I/O. “Volevo scrivere una melodia a cui sono sicuro che mia madre avrebbe reagito”, spiega. E non c’è dubbio che la signora Irene, che suonava il pianoforte e aveva trasferito al figlio i geni musicali, avrebbe certamente gradito l’omaggio. A 73 anni, ormai quasi 74, ci si può permettere dei sentimentalismi. Anche a rischio di apparire fuori moda, come nel caso di Love Can Heal: “L’amore può guarire sembra un vecchio slogan hippy, ma credo sia un elemento fondamentale: se ci rendessimo conto che la vera interazione nasce dal dare, avremmo tutti molte più possibilità di fare del bene e di essere in grado di offrire di più”. Sentimenti analoghi che permeano anche This Is Home: la casa come rifugio, dove unirsi in un abbraccio con le persone amate. E tutto il resto, là fuori, non conta...

 

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