L’hippy più ricco del mondo: Giancarlo FULGENZI

hippy giancarlo fulgenzi
Pace, amore & business: la strana storia di Giancarlo Fulgenzi, imprenditore dalle intuizioni geniali al servizio di una filosofia genuinamente alternativa.

Nelle foto di sessant’anni fa ha barba, capelli lunghi e un cordoncino di cuoio intorno alla fronte; indice e medio di una mano, ma più spesso di tutte e due, sono alzati. Nelle foto di oggi, novantatreenne, è un signore perfettamente sbarbato, ancora con tanti capelli ma candidi tagliati corti, e al posto delle magliette colorate e con le scritte indossa camicie quasi sempre bianche, ben stirate. L’anima però è la stessa. Il pensiero è lo stesso. Il gesto della pace, il V-sign che durante la Seconda guerra mondiale indicava vittoria ma in altri contesti, come quello della controcultura degli anni Sessanta e Settanta, stava per “pace e amore”, ora non lo fa soltanto perché intelligentemente pensa che non verrebbe capito da tutti, come invece accadeva una volta, e quindi in questo mondo ormai così ottuso e cieco in cui si sono persi troppi riferimenti (quelli giusti, perché quelli sbagliati ci sono eccome, più prepotenti che mai) è meglio dire, parlare, spiegare che... “Niente è più importante della pace e dell’amore, niente ci può rendere felici e salvare quanto la pace e l’amore, sia come individui che come collettività”. Lui ci crede ancora.
Giancarlo Fulgenzi, una vita straordinaria. D’impegno, lavoro, avventure, denaro guadagnato in quantità enormi e ridi stribuito subito, idee, innovazioni, divertimento. In quei mitici anni di ribellione, a un certo punto lui e il suo lavoro incrociano una rivista molto particolare, «Ciao 2001». Un incontro fatale. Per arrivarci, però, bisogna capire che cosa, in quel momento, significasse il nome Fulgenzi, e come fosse diventato famoso sia in Italia che all’estero.

La bottega Fulgenzi Torino
© La bottega Fulgenzi Torino (Facebook: LabottegadifulgenziTorino)

Nella prima metà degli anni Settanta, le “Botteghe di Fulgenzi” in Italia erano sedici, e soltanto quella di Roma, a via del Babuino, incassava in una normale giornata di sabato qualcosa come 9 milioni di lire. Signor Giancarlo, quanta strada aveva dovuto fare per arrivare a un successo del genere?

Tanta, e in senso letterale: centinaia di migliaia di chilometri, perché avevo viaggiato in tutto il mondo, attraversato oceani e percorso continenti su aerei, automobili, treni. Già da piccolo avevo la passione del disegno, ero dotato di manualità e mi piaceva molto inventare, creare. La mia fortuna arrivò per puro caso con gli animali di paglia. C’era un tipo che cercava questo articolo, e io che studiavo medicina e avevo bisogno di guadagnare per mantenermi agli studi e per aiutare la famiglia, mi buttai a fare animali di paglia e oggetti in giunco. Misi su un paio di negozi chiamati “Artigianato toscano”, ma soprattutto commerciavo con l’estero, perché erano venuti a trovarmi dei buyer americani e si erano entusiasmati per questi animali, così da Livorno facevamo spedizioni settimanali. Per un periodo, addirittura mandavamo a Livorno interi vagoni ferroviari coi nostri oggetti. Quando gli animali di paglia ebbero invaso tutte le vetrine dei più grandi magazzini americani, mi chiesero di andare lì per far vedere al pubblico, in tv, nelle scuole e persino nei musei come si lavorasse con le mani. Era il momento del boom industriale, le fabbriche militari erano state riconvertite e la gente comprava di tutto, dai coltelli elettrici alle lavatrici, come sarebbe poi successo da noi anni dopo. Nella mia prima visita toccai New York e Philadelphia, con un contratto di tre mesi: ogni quindici giorni dovevo spostarmi. Seguirono altri contratti, sempre di tre mesi, e praticamente visitai tutti gli Stati Uniti, dalle grandi città come Los Angeles e San Francisco a piccoli posti come Toledo e Cincinnati, in cui allora c’era poco e niente. Stiamo parlando della fine degli anni Cinquanta. Tutto è andato avanti fino a metà degli anni Settanta, ed è stato fantastico, gratificante. Ci davano un sacco di soldi, pacchi di biglietti aerei per cui potevo tornare a casa anche ogni weekend. Una volta portarono da Firenze una carrozza su cui feci il giro dei clienti, un’altra volta una gondola da Venezia che misero in un laghetto a New York. Manifestazioni che richiamavano un sacco di gente, con grandi e impressionanti scenografie. Altri s’incuriosirono: Australia, Sudafrica, Nord Europa. Presi a fare giri annuali anche lì. Ma è a San Francisco che scattò la scintilla…

…Tratto dall’ultimo numero di CIAO 2001, disponibile in edicola e online!

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