10 canzoni PROG dei QUEEN | Prog

prog, queen, art rock
Direttamente dal nuovo numero di PROG!
Non solo Bohemian Rhapsody: fra Rock sinfonico, art rock e altre storie, eccovi due delle dieci canzoni per (ri)scoprire il lato progressivo dei QUEEN, dal nuovo numero di PROG.
Father to Son QUEEN II, 1974, 6’14’’
e White Queen (As It Began) QUEEN II, 1974, 4’36’’

QUEEN II è da sempre l’album dei Queen preferito dagli appassionati del rock progressivo, o almeno quello meglio sopportato. La conferma arriva anche dalla citazione presente nel volume Wonderous Stories – A Journey through the Landscape of Progressive Rock di Jerry Ewing, direttore di «Prog». A pagina 122 Ewing infatti scrive: “Anche se nessuno si azzarderebbe mai a definire i Queen un gruppo prog, va detto che i primi album della band, QUEEN (1973) e in particolare QUEEN II (1974), presentano elementi art prog che verranno ulteriormente sviluppati i brani come The Prophet’s Song e ovviamente Bohemian Rhapsody (A NIGHT AT THE OPERA). Inoltre non bisogna dimenticare l’epica title-track dell’album INNUENDO, dove sono nuoamente presenti dei riferimenti al progressive rock e in cui Steve Howe figura come ospite”. Pur non essendo un vero e proprio concept album, QUEEN II adotta una precisa caratterizzazione delle due facciate, denominate come “Side White” e “Side Black” invece di “Side A” e “Side B”, che presuppone un filo conduttore tra le varie tracce: non a caso i brani della prima facciata, con eccezione dell’ultimo, sono tutti composti da May, mentre quelli della seconda da Mercury. Il disco si apre con una vera e propria dichiarazione di intenti: l’introduttiva e solenne Procession mette in mostra in poco più di un minuto quella che rimarrà a lungo una delle caratteristiche peculiari del sound del gruppo, ovvero l’utilizzo orchestrale della chitarra elettrica, sovraincisa più volte da May fino a ricreare una dimensione sinfonica. “Su QUEEN II c’è un sacco di materiale che mi piace, perché rappresenta l’origine delle orchestrazioni di chitarra che ho sempre voluto fare.

Father To Son parte con un’introduzione, Procession, dopo di che comincia la canzone vera e propria, con un breve cantato e una composizione in più parti. Quella è stata la realizzazione di una mia ambizione: usare la chitarra come uno strumento orchestrale”.3 Anche se per stessa ammissione della band Who e Led Zeppelin in questo momento rappresentano le principali fonti di ispirazione, c’è spazio anche per soluzioni più avventurose, come le belle polifonie vocali in stile Yes (1’51’’) che caratterizzano la sezione precedente a quella prettamente hard rock. Da Father To Son si passa senza soluzione di continuità alla splendida White Queen, ispirata dal saggio The White Goddess (tr.it.: La dea bianca) di Robert Graves e caratterizzata dal contrasto tra parti acustiche ed elettriche. Notevoli le sovraincisioni vocali di Mercury che fungono da tappeto sonoro come una sorta di Mellotron in carne e ossa. Purtroppo, come scrive giustamente Brian Moore, i Queen “si impegnarono talmente tanto per realizzare un album che incorporasse soluzioni tecniche e compositive mutuate (anche) dal rock progressivo da abbandonare totalmente qualsiasi velleità in questo senso già con il successivo SHEER HEART ATTACK”.4

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