JEFF LYNNE e tutta la sua verità sugli ELO: intervista esclusiva

Intervista esclusiva a Jeff Lyne, leader degli ELO e produttore dei Beatles.

Il suo accento di Birmingham si sente ancora, anche se adesso vive a Los Angeles. Jeff Lyne, produttore, compositore, musicista e leader degli ELO se ripensa al passato vede una carriera lunga e fortunata. Non solo con gli Electric Light Orchestra, ma anche per le collaborazioni con i Beatles e con i Traveling Wilburys, il supergruppo formato da Bob Dylan e Tom Petty. Da poco è uscito FROM OUT OF NOWHERE, degli ELO, ma in realtà è (quasi) tutta farina di Lynne. Siamo andati a intervistarlo.

Che storia c’è dietro a FROM OUT OF NOWHERE?

La title-track è uscita letteralmente dal nulla. È stato il primo brano che mi sono messo a scrivere e quasi tutti gli accordi sono venuti alla prima stesura. E in effetti, un po’ tutto il disco è venuto così. Volevo metterci una punta di ottimismo. Come reazione a come vanno oggi le cose nel mondo. È una situazione molto, molto ingarbugliata. Ma allo stesso tempo, non volevo immischiarmi nella politica.

Alcuni dei brani di FROM OUT OF NOWHERE, come All My Love e Down Came The Rain, hanno un sapore quasi malinconico. Ripensi spesso al passato?

Credo di averlo sempre fatto, anche agli inizi, quando non avevo nulla a cui ripensare. Però c’era la musica, quella bella musica passata, che sentivo quando mio padre l’ascoltava al giradischi o alla radio. Non penso di vivere nel passato, ma cerco di fare un tipo di musica che usa delle sequenze di accordi dal sapore quasi classico. Come le stupende canzoni di Richard Rodgers [compositore di musica per i teatri degli anni 20/30/40]. Da ragazzo non le capivo, perché c’era un lavoro di arrangiamento molto sofisticato, ma volevo riuscire a suonare alcuni di quei passaggi. Sentire due accordi unirsi in un insieme che diventa una cosa a sé e ha un suo perché, è una sensazione bellissima.

Crescendo nella Birmingham postbellica, le prospettive lavorative dovevano essere scarse. La musica è stata una via di fuga?

Assolutamente sì. Non c’era nessun lavoro che mi attirasse, ma mi ritrovai a girare negli uffici. In due anni e mezzo, provai tredici o quattordici lavori. Alcuni durarono meno di quattro ore. Uno era vetrinista in un grande magazzino, e lo ebbi tramite il centro di collocamento giovanile. Avevo 15 o 16 anni. Ti dovevi mettere delle pattine e lavorare nelle vetrine del C&A a Birmingham. La sola cosa a cui pensavo era: “E se uno dei miei amici passa e mi vede?”. Resistetti fino a mezzogiorno, poi me ne andai e non tornai più. Ci furono un sacco di altri lavori stupidi, alcuni simpatici e altri schifosi. È stata la mia gavetta. Poi ricevetti una telefonata da Roger Spencer, cantante e batterista dei Nightriders. Andai al provino, ottenni il posto e a 18 anni mi ritrovai musicista professionista. Poco dopo, cambiammo nome in Idle Race.

Quando è iniziata la tua fascinazione per i Beatles?

Da subito. Please Please Me mi conquistò e diventai un loro grande fan. Con i Beatles ho avuto un sacco di fortuna. Mentre registravo con gli Idle Race, a Londra nel 1968, un amico del nostro tecnico del suono telefonò in studio per dire che stava lavorando a Abbey Road in una session con i Beatles e che se volevamo potevamo andare a dare un’occhiata. Forse andai solo io, non ricordo, ma vidi Paul e Ringo nello studio 3 che registravano piano e voce. Poi fui invitato nello studio 2, dove John e George stavano nella cabina di regia. Sotto, nello studio vero e proprio, George Martin era dritto sulla pedana e stava dirigendo gli archi di Glass Onion. Rimasi senza parole. Nessuno l’aveva ancora ascoltata, ma io mi trovavo a Abbey Road, e sentivo il brano mentre nasceva. Rimasi circa mezz’ora, poi pensai che era educato andarmene, perché mi sentivo fuori posto. Così tornai dove stavano registrando gli Idle Race, e ovviamente il sound non mi sembrò più così buono.

Il resto dell’intervista a Jeff Lyne la trovi su Classic Rock 87, in edicola e in digitale.

 

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