Mambo italiano II: i batteristi italiani che hanno fatto la storia

Capiozzo Giulio e Demetrio Stratos

Bistrattata e snobbata, la scena musicale italiana ha prodotto eccellenze in ogni ambito, quello percussivo incluso, relagandoci una serie di batteristi che per classe, tecnica inventiva, hanno poco da invidiare ai più blasonati colleghi internazionali.

Testo di Antonio Tony Face Bacciocchi

Leggi qui la prima parte dell’articolo.

Area Capiozzo

Coetaneo di Franz è il compianto Giulio Capiozzo. Anche nel suo caso, è la scuola beat a fargli muovere i primi passi nella musica attiva e professionistica. Ci arriva definitivamente nei primi anni 70 con gli Area, uno dei gruppi più importanti della musica italiana di sempre, in grado di fondere jazz, rock, musica popolare, elettronica, prog, free, avanguardia, militanza politica, affiancato da mostri sacri della tecnica strumentale e creativa come Demetrio Stratos, Paolo Tofani, Ares Tavolazzi e Patrizio Fariselli. Una meteora che durerà troppo poco, giusto un pugno (chiuso) di anni in cui produrranno una serie di album duri, intransigenti, uno più bello dell’altro, sempre in prima fila tra concerti mal pagati ed esperienze estreme. Una stagione dura (e pura) che finirà per sfiancarli, fino alla tragica e forzata chiusura con la prematura morte di Stratos nel 1979 (che aveva comunque già lasciato il gruppo da poco per dedicarsi alla ricerca sulla voce), seguito da un poco convincente tentativo di proseguire in chiave solo strumentale.

Gli Area riusciranno però a regalare capolavori come ARBEIT MATCH FREI del 1973 e CRAC! del 1975, prima di chiudere con il contestato (ritenuto troppo “leggero” e conciliante con il mainstream da pubblico e certa critica) ma sempre grande 1978 GLI DEI SE NE VANNO, GLI ARRABBIATI RESTANO. Di queste avventure artistiche, Capiozzo è un elemento-chiave:

Negli Area degli anni 70 le strutture musicali nascevano direttamente in sala, si provava incidendo e gli schemi non erano fissi. A volte mi curavo anche dei giri di basso.

Chiusa quell’esperienza, Capiozzo proseguirà una carriera di sperimentazioni con il nome di Area II e di collaborazioni con grandi del jazz come Elvin Jones, Clarke Terry, George Coleman e Dexter Gordon, prima della prematura scomparsa, avvenuta nel 2000 per un attacco cardiaco.

Stile impetuoso, tecnica smisurata, perfettamente a suo agio con i poliritmi spezzati, tempi dispari, complessi e funambolici con cui gli Area infarcivano i brani, il suo drumming si caratterizzava per essere costantemente protagonista di primo piano, strumento solista aggiuntivo, quasi mai di mero accompagnamento, spesso in perfetta coincidenza con le frasi di chitarra o tastiera.

Privilegio la creatività, non vedo perché tutta la tecnica che sai debba essere messa in mostra quando suoni. Il tuo momento creativo può essere anche un momento virtuoso, ma soprattutto è ricerca dei fraseggi, i fraseggi non sono una moltiplicazione o una somma di numeri, sono una cosa melodica; la batteria è uno strumento melodico. Non è importante la velocità di esecuzione, contano le idee musicali che hai.

C Capiozzo Giulio e Demetrio Stratos

La batteria è una donna

Di scuola beat e in qualche modo legato agli Area è anche Ellade Bandini, che ha suonato a lungo con il loro futuro bassista Ares Tavolazzi, in particolare nei Pleasure Machine, band con all’attivo un ottimo album di funk soul jazz strumentale del 1970, uscito però con il nome di Fourth Sensation. Subito dopo, inizia una lunga e costante collaborazione con Francesco Guccini, ma lo troviamo in decine di altri dischi con altrettanti artisti: dal pop di Rumore di Raffaella Carrà e L’importante è finire di Mina a lavori con Paolo Conte, Fabrizio De André, Vinicio Capossela, Angelo Branduardi, Antonello Venditti, Gino Paoli, Fabio Concato ed Edoardo Bennato. Non solo pop, ma anche jazz con Paolo Fresu, Paolo Tomelleri, Franco Cerri, Lee Konitz e un’altra lunga lista. Senza dimenticare l’esperienza con La Drummeria condivisa con Walter Calloni, Maxx Furian, Christian Meyer e Paolo Pellegatti, uno spettacolo di soli batteristi dove lo sfoggio di tecnica e gusto era esemplare. A «Jazzitalia», Bandini ha detto di sé e del suo strumento:

Io ho con la batteria un rapporto molto fisico. Passionale. Ogni volta che mi siedo, mi dico sempre: ‘Ellade, cerca di non essere ripetitivo! Non devi mostrare nulla. Pensa solo alla musica’. Faccio questo strano training autogeno, perché la batteria è “una donna”, come diceva Ellington, da amare, rispettare, carezzare; ma può anche essere una tigre da domare o un mare in tempesta dove non sai se ti salverai. In fin dei conti, un bellissimo strumento che, se suonato con devoto rispetto, serietà, amore, risalta per ancestrale fascino, viceversa solo un terribile casino, molto poco piacevole!!!

Il suo è uno stile pulitissimo, con ritmi che si avvalgono spesso del supporto (apparentemente spezzato, al contrario un arricchimento) percussivo di tom e timpani e un groove di base sempre molto funky (sentire le versioni live de Il pescatore eseguita con De André).

Ellade Bandini | Foto di Francesco Conversano

Tra jazz e RAI

Una delle particolarità di Bruno Biriaco (anche lui arrivato dal beat dei 60, dagli Ancients con Manuel De Sica, figlio del regista Vittorio e diventato successivamente valente compositore di colonne sonore) è il percorso evolutivo in chiave artistica, dal ruolo di semplice batterista a quello di arrangiatore, direttore d’orchestra RAI, compositore. Da batterista, il periodo di riferimento più interessante e di maggior visibilità è quello trascorso negli anni 70 nel Perigeo, con cui incide alcuni degli album più interessanti della jazz fusion italiana, tra cui ABBIAMO TUTTI UN BLUES DA PIANGERE del 1973, GENEALOGIA del 1974 e LA VALLE DEI TEMPLI dell’anno successivo, dove si segnala per uno stile molto ricco di fraseggi anche se mai preponderante o troppo protagonista.

Con il Perigeo, per l’aspetto compositivo segnalo La valle dei templi, un mio brano che darà il titolo all’album e nel quale suono anche la parte introduttiva al pianoforte. Sul piano batteristico invece NON È POI COSÌ LONTANO, dove amplio i tom e i timpani della batteria e sotto il profilo tecnico credo che la coesione ritmica in tutto l’album sia stata eccellente.

Finita l’esperienza con il Perigeo, Biriaco allestisce i Saxes Machine (sezione di fiati più ritmica), con cui suona a lungo in tutta Europa, poi diventa uno dei più rispettati e ricercati collaboratori in RAI, dove cura le colonne sonore e i sottofondi di numerose trasmissioni. Torna alla musica live con la Galaxy Big Band, orchestra jazz sullo stile delle big band alla Duke Ellington e Glenn Miller (retaggio di numerose esperienze in ambito direttamente jazz, con Chet Baker e Giorgio Gaslini tra gli altri).

Bruno Biriaco

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