Quello della musica può essere un mondo spietato, specie negli anni d'oro del Rock, quando i manager erano capaci di tutto pur di ambire al successo.
Sin da quando il Rock ha mosso i primi passi nell'immaginario collettivo, era chiaro a chiunque avesse intenzione di lasciare un'impronta nel genere, a prescindere dal ruolo che volesse ricoprire, che il mondo della musica avesse dei tratti particolarmente oscuri e spietati. Lo sapevano bene i manager che, nel gestire i propri musicisti, si vedevano spesso costretti ad usare metodi poco convenzionali e un'attitudine senza scrupoli.
In questa classifica, vi presentiamo alcuni tra i manager più infami nella storia del Rock e, alla luce delle premesse, non ci sarà da stupirsi nel trovare nomi altisonanti del paradigma musicale di riferimento.
Colonnello Tom Parker
Strano, ma vero, Elvis Presley non si è mai esibito oltre il territorio statunitense. L'unico motivo per il quale i fan stranieri del Re del Rock N'Roll non hanno mai avuto il piacere di ascoltarlo dal vivo è perché, semplicemente, il suo manager non voleva. Parker la chiamava una questione di sicurezza. In realtà, era una mera questione personale: Parker era un immigrato clandestino, e se fosse uscito dai confini americani, avrebbe rischiato di non potervi fare più ritorno.
Nato Andreas Cornelis van Kuijk in Olanda, Parker giunse negli States nei primi anni '30, iniziando a lavorare in un circo. Fu lì che si scontrò con le nefandezze della vita e ne trasse preziosi insegnamenti che gli sarebbero valsi un ruolo d'eccezione nella storia del Rock. Lo spietato manager traeva dai profitti di Presley il 25% che, spesso e volentieri, si traslava in un netto 50%. Per farci un'idea dell'avarizia senza scrupoli di Parker, basta pensare al fatto che dopo aver preso parte ai funerali di Elvis a Memphis, volò immediatamente a New York per stipulare un contratto di vendita per la memorabilia dell'artista. Dipendente dal gioco d'azzardo, Parker morì nel 1997, con gran parte del suo patrimonio bruciato nei casinò di Las Vegas.
Albert Grossman
Meglio conosciuto come "L'Orso", in Albert Grossman convivevano due personalità diametralmente opposte. Impossibile non citarlo nella classifica dei manager più infami nella storia del Rock. Da sempre amante della musica, Grossman decise, dopo essersi laureato in economia, di aprire un club a Chicago che, in men che non si dica, cominciò ad accogliere gli artisti folk più gettonati: da Gordon Lightfoot a Odetta e, ovviamente Bob Dylan, di cui divenne, dopo qualche tempo, il manager. Fu proprio durante la sua collaborazione con Dylan che emerse l'aspetto più feroce e meno equilibrato di Grossman.
Assetato di fama e denaro, Grossman usava la sua stazza considerevole per intimorire i discografici e costringerli a firmare contratti vantaggiosi. Non passò molto tempo e Grossman cominciò a diventare intrattabile e superbo, scontrandosi fortemente con Bob Dylan. Il loro rapporto di lavoro divenne particolarmente burrascoso, al punto da spingere il cantautore a dividersi da lui, nel 1971. Grossman, però, non uscì dalla vita di Bob Dylan fino alla sua morte, avvenuta nel 1987. Per ben sedici anni, infatti, il manager portò avanti un'asprissima battaglia legale contro l'artista al fine di ottenere un risarcimento sulle royalties.
Don Arden
Sono moltissimi i motivi per i quali Don Arden merita un posto di spicco in questa lista. Per cominciare, c'è quella volta in cui, col sospetto che il suo collega manager Robert Stigwood intendesse rubargli una band, lo lanciò da una finestra del quarto piano. Dagli Small Faces ai Black Sabbath, Arden non intendeva pagare profumatamente le band con cui lavorava e, quando Ozzy Osbourne lasciò il gruppo padre del metal, non batté ciglio; almeno finché non venne a sapere che il cantante aveva assunto sua figlia Sharon come manager. Consapevole della relazione tra i due, Arden lanciò con assoluta ferocia i suoi doberman contro la figlia, incinta, che a causa dell'assalto dei cani perse il bambino. Sono diversi, come vediamo, i motivi per i quali Arden è ricordato come l'Al Capone del Rock.
Allen Klein
Lo storico manager dei Beatles, Brian Epstein, costruì un impero finanziario attorno al nome del celeberrimo Quartetto di Liverpool. Il castello che con tanta fatica aveva eretto, però, collassò su se stesso a soli due anni dalla morte. Fu allora che il venale avvoltoio, Allen Klein, incrociò i suoi passi con quelli della band. Famigerato per i ricchi contratti che strappava alle case discografiche, Klein conquistò l'ammirazione di John Lennon per i suoi metodi da strada, mentre George e Ringo seguirono il parere del compagno. Paul McCartney, dal canto suo, era terrorizzato da Klein, al punto da passare intere notti insonni, avendo incubi su di lui. Quando Klein prese il controllo dell'impero dei Quattro, tagliò teste su teste tra gli impiegati che non rispettavano la sua visione. Alla fine, i nodi vennero al pettine e, nel corso degli anni, furono moltissime le band che lo citarono in giudizio per il suo comportamento anti-etico.
Peter Grant
Tra i manager più infami nella storia del Rock, si annovera anche il gigante protettore dei Led Zeppelin: Peter Grant. Il manager incarnava l'attitudine estrema e intimidatoria della band, attraverso metodi violenti e, decisamente, poco convenzionali per un uomo di affari. Povertà, guerra e delusioni avevano forgiato il carattere indistruttibile di Grant che, al di là dei tratti più spigolosi della sua personalità, credeva davvero nei Led Zeppelin e li aveva sempre trattati con rispetto ed ammirazione.