Hai paura di morire?
Quando il tuo numero viene estratto, viene estratto.
Puoi fare qualcosa per spostare i decimali, per così dire, e questo include il cercare di non abusare di se stessi,
cadendo in tranelli che possono portare a una prematura dipartita.
Ma negli ultimi dieci anni credo di aver esaurito 4 passaporti diversi: viaggio molto.
La mia vita è nelle mani di qualcun altro.
Abbiate solo cura delle mie chitarre quando non ci sarò più.
Sei nervoso, quando voli?
Sì. Quello che è accaduto all’aereo malese è inquietante.
È il mio incubo peggiore.
Cerco di superare la mia paura di volare studiando le leggi fisiche che rendono il
volo possibile...
Ad esempio: quanto le ali dell’aereo possono piegarsi all’indietro in una turbolenza.
Ma precipitare nel bel mezzo dell’Oceano Indiano non è esattamente la mia idea
di party.
Mi sento così male per tutta quella gente che era su quell’aereo e per quelle famiglie che non
hanno idea di cosa sia successo ai loro cari.
C’è stata nella tua vita un’occasione in cui sei stato vicino al punto di morire?
L’ho sfiorato due volte.
Quando ero bambino, a New York, ero ingenuo come un chierichetto.
Non sapevo come uscire da un taxi nella City dal lato del marciapiede.
Una volta ho aperto la portiera e sono uscito dalla parte sbagliata,
mentre un altro taxi sfrecciava in senso opposto.
Mi ha mancato per pochi centimetri – ricordo molto bene quel paraurti!
La seconda volta che mi viene in mente è, in quella stessa primavera,
quando ero su un volo da New York a Los Angeles e ci siamo imbattuti in una turbolenza.
Il pilota ha perso il controllo del velivolo per un minuto buono. Un minuto terrificante.
Quale è stata la tua prima esperienza della morte?
La mia trisavola è morta quando avevo cinque anni.
Vengo da una famiglia italo-newyorkese e lei viveva al piano sopra il nostro.
Allora non sapevo cosa fosse il cancro.
Un giorno lei era lì e il giorno dopo non c’era più.
Mi dissero che era andata in un posto migliore.
La seconda volta che incontrai la morte, invece, fu con Danny Gatton,
quando avevo 14 anni.
E’ stato il mio maestro di chitarra e mentore. Ero in un negozio di chitarre a Austin, nel Texas,
quando mi arrivò la notizia che si era ucciso. Non riuscivo a crederci.
Hai mai usato una ouija board (una speciale tavoletta usata nelle sedute
spiritiche, ndr) o consultato un medium?
No.
Considero entrambe le cose decisamente inquietanti.
Però credo negli spiriti, a volte si riesce a percepire qualcosa, ad esempio quando si visitano vecchi hotel.
Ma non mi piace l’idea di risvegliare i morti.
Credo che se avessero qualche conto in sospeso con me,
tipo il mancato pagamento di una chitarra, sarebbero loro a contattarmi…
Se ti fosse data la possibilità di contattare solo una persona dall’aldilà, chi sceglieresti?
Mi piacerebbe parlare con [il chitarrista dei Free - ndr] Paul Kossoff,
per capire dove aveva davvero la testa.
Da dove sono venute fuori quelle idee musicali?
Era stato influenzato dal blues, ok, ma come ha fatto a mettere insieme quegli accordi?
Sì, mezz’ora con Kossoff mi sarebbe davvero utile.
In cosa ti piacerebbe reincarnarti, eventualmente?
Ti dirò, così sto bene.
Magari, se potessi avere un altro centinaio d’anni a disposizione su questo pianeta,
non sarebbe male. È tempo sufficiente a fare qualche danno.
A proposito, pensi mai a quale sarà il tuo lascito una volta che non ci sarai più?
É buffo, ne abbiamo discusso animatamente in pullman, di tanto in tanto.
Credo che solo un ristretto gruppo di persone viva tanto a lungo da meritare quello status di
“leggenda” bona fide: mi vengono in mente Jimmy Page, Eddie Van Halen e Robert Plant.
Anche Willie Nelson. E Johnny Cash.
La maggior parte delle persone però non lo capiscono, e la parola “leggenda” viene usata con troppa
leggerezza.
Solo il tempo può giudicare il tuo retaggio. Ancora si parla di Buddy Holly e Otis Redding, giusto?
Ma speri comunque che la gente si ricordi di te tra cinquant’anni?
Certo che me lo auguro!
Ma non si sa mai. The Ballad Of John Henry potrebbe essere dimenticata o al
contrario celebrata.
Alla fine, chi se ne importa?
Molto probabilmente non sarò più da queste parti, tra cinquant’anni.
Se potessi scegliere, come ti piacerebbe morire?
Preferibilmente mentre me ne sto seduto in una fattoria da qualche parte in Virginia, s
u una sedia a dondolo sulla mia veranda, con un vecchio cane da caccia accanto,
una Les Paul del ’59 sulle ginocchia, un sigaro e un bicchiere di bourbon Pappy Van Winkle,
in una notte di pioggia.
Questo sì che è un bel modo di andarsene.
E cosa ci sarà inciso sulla tua lapide?
Qui giace Joe Bonamassa.
Fine delle stronzate.