Come David Crosby diventò l’icona degli anni ’60

david crosby
Provino della seduta fotografica per la copertina di CROSBY, STILLS & NASH: (s-d) Graham Nash, Stephen Stills, David Crosby.
Con i Byrds, CSN, CSN&Y e i suoi dischi solisti, David Crosby ha scritto e inciso alcuni momenti indimenticabili della scintillante colonna sonora di un’epoca d’oro. Questa è la sua storia.

“Che diavolo c’è che non va nella libertà, amico? È questo il problema”, ci chiedeva Billy, l’antieroe dagli occhi da pazzo in cerca dell’America interpretato da Dennis Hopper in una memorabile scena del capolavoro del 1969 Easy Rider. Insieme a Wyatt, il suo compagno di viaggio interpretato da Peter Fonda, Billy rappresenta il culto edonistico e ribelle della giovinezza, che tenta di sopravvivere in una società retta e intollerante. Il fatto che Hopper, regista del film oltre che attore, avesse deciso di modellare il suo personaggio idealista e avventuriero – completo di mustacchi da tricheco, capelli sulle spalle e giubbotto con le frange – su David Crosby era la prova tangibile dell’importanza che questo spirito libero, icona della controcultura, aveva per quella generazione, sul finire di un decennio rivoluzionario come i Sixties.“

Quando Easy Rider uscì, nel luglio di quell’anno, CROSBY, STILLS & NASH, l’omonimo disco di esordio del supergruppo che avrebbe guidato la dorata scena californiana, era in circolazione da soli due mesi, ma il cofondatore del gruppo, David Crosby (che sulla copertina del disco sembrava il modello preciso di Billy), era già considerato il malizioso, schietto e antiautoritario principe dell’era hippie. Era un ruolo in cui Crosby si crogiolava, e nel quale una passione smodata per sesso, droga e rock’n’roll trovava soddisfazione totale, accanto a un piacere quasi perverso nel suscitare polemiche e litigi. Nel corso degli anni, il suo caratteraccio si sarebbe abbattuto particolarmente su politici, pop star meno famose e, soprattutto, sui suoi compagni. Ma è stata soprattutto la sua inconfondibile voce a distinguerlo, a porlo tra i massimi talenti del rock, dandogli la possibilità di resistere fino alla fine.

Al momento della morte, avvenuta il 18 gennaio 2023 all’età di 81 anni, Croz – come era affettuosamente chiamato – era ormai un autentico patriarca musicale, vincitore di un Grammy e per due volte ammesso nella Rock and Roll Hall of Fame (come Byrds e come CSN), la cui serie di meravigliosi album solisti nell’ultima fase della carriera ha più che compensato il lungo silenzio che li aveva preceduti. Croz era un tipo arguto, sempre pungente su Twitter, capace di attirare follower da ogni generazione, con i suoi racconti sinceri e mai filtrati sul “rollare le canne”. La sua rinascita artistica, tuttavia, non è stata priva di ostacoli. Tormentato dalle difficoltà finanziarie e da problemi di salute derivanti dalla gravità delle sue passate dipendenze, il litigioso (troppo) Crosby è morto senza avere più rapporti con le persone che avevano creato i suoi capolavori. La sua libertà, sembra, l’aveva pagata a caro prezzo.

David Crosby e la fidanzata
David Crosby e la fidanzata © Getty Images

Roger McGuinn, ad esempio, con Crosby rimase sempre molto sulla difensiva, fin da quando i loro percorsi professionali si incrociarono la prima volta. Ex chitarrista folk del Chad Mitchell Trio, che aveva conquistato la scena del Greenwich Village infondendo un elemento ‘Beatles’ in un repertorio di ballate tradizionali, McGuinn si era trasferito a Los Angeles dove assieme all’ex New Christy Minstrels Gene Clark tentava di applicare a un duo questa nuova idea del folk rock, salvo poi accorgersi che la tonalità molto simile delle loro voci richiedeva un terzo cantante. La ricerca iniziò subito. Lo trovarono al Troubadour club di West Hollywood all’inizio del 1964. “C’era questo tizio che quando entrava in scena era molto arrogante, con l’atteggiamento di chi vuol mettere in riga il pubblico”, ricordava Clark nell’autobiografia del 1989 di Crosby, Long Time Gone. “Io chiesi: ‘Chi è?’, e Roger disse: ‘Lo conosco’. E basta. Non voleva parlarne. Poi il tipo cantò, e rimasi senza parole. Gli dissi: ‘Amico, è bravo! Ci siamo. Non ne troveremo un altro migliore’. Ma McGuinn rispose: ‘No. Conosco David. Abbiamo già provato a lavorare insieme. È impossibile. Non funzionerà mai’.

Crosby aveva iniziato a Santa Barbara in coppia con suo fratello maggiore, Ethan, prima di spostarsi da solo a New York, dove aveva conosciuto McGuinn. Tornato nella natia LA, Crosby contattò McGuinn e Clark proponendogli di unirsi a loro, aggiungendo che il suo amico Jim Dickinson aveva uno studio di registrazione che avrebbero potuto usare. Era un’offerta che McGuinn non poteva rifiutare.

Nei mesi che seguirono, sotto la gestione di Dickinson, il gruppo si arricchì di Chris Hillman al basso e Michael Clarke alla batteria, e acquisì un nuovo nome: The Byrds. Gli inizi furono complicati e li videro girare per i locali della California sulla scia dell’impatto dei Rolling Stones, insolenti e capelloni. La svolta arrivò con il loro singolo di debutto, pubblicato nell’aprile 1965: una versione elettrificata e festosa di un brano di Bob Dylan, Mr. Tambourine Man. All’improvviso, i Byrds divennero un fenomeno. Il loro folk rock tintinnante si diffondeva sulle onde radio, mentre gli USA cercavano di difendersi dalla British Invasion. MR. TAMBOURINE MAN, album basato su cover di Dylan e brani originali di Gene Clark, li definì come pionieri dell’emergente sound della West Coast, che a sua volta sarebbe poi affiorato tra i solchi di RUBBER SOUL dei Beatles. Se McGuinn faceva la parte del leone come voce solista, Crosby era sempre in prima fila, a diffondere armonie zuccherine con un sorriso ammaliante, stella in procinto di accendersi. “È stato allora che abbiamo iniziato a fare soldi”, ricordava. “Mi sono comprato una Porsche verde, e ho capito che gli anni Sessanta sarebbero stati molto interessanti”.

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Articolo tratto da: Classic Rock n.123, "Il principe Hippy" di Simon Harper

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