Il making of London Calling

The Clash, London Calling, 1979
L’album più famoso dei Clash, London Calling, affronta con cognizione di causa molti temi di rilievo socio-politico – terrorismo, sopruso, corruzione, guerra, tossicodipendenza, disoccupazione, emarginazione – e tenendo conto di ciò che accadeva nel mondo di allora.

Nel 1979 i Sex Pistols erano un ricordo lontano e i fan del punk puntavano sui Clash per avere un po’ di sana rabbia iconoclasta. Ma la band di Strummer, Jones, Simonon ed Headon aveva
una gran voglia di andare oltre il punk, così abbracciarono rockabilly, reggae, soul, R’n’B. E per dare al tutto la giusta veste chiamarono un produttore completamente pazzo. Risultato? London Calling, il loro disco più amato.

Venerdì 14 dicembre 1979 i negozi inglesi di dischi esposero “London Calling”, il terzo album dei Clash. La foto in bianco e nero che campeggiava in copertina, scattata da Pennie Smith al Palladium di New York City il 21 settembre di quell’anno, mostrava il bassista Paul Simonon nell’atto di frantumare il proprio strumento musicale sulle tavole del palco. La grafica di copertina, curata dal cartoonist e illustratore Ray Lowry, riprendeva la disposizione e i colori dei testi del primo album di Elvis Presley.

“London Calling” era un disco doppio venduto al prezzo di un LP singolo e conteneva diciannove canzoni, suonate
da Simonon, John Graham Mellor, alias Joe Strummer (voce, chitarra ritmica e pianoforte, morto di infarto a causa di una malformazione congenita al cuore il 22 dicembre 2002), Michael Geoffrey “Mick” Jones (chitarra, voce e pianoforte) e Nicholas Bowen “Topper” Headon (batteria), con contributi di Mickey Gallagher (organo) e The Irish Horns (ottoni).

A quel punto della loro carriera, i Clash godevano di un buona reputazione, sia
in Europa sia negli Stati Uniti, e avevano dimostrato che gli argomenti delle loro canzoni non si limitavano a esacerbare l’estetica nichilista del punk, ma affrontavano con cognizione di causa molti temi di rilievo socio-politico (terrorismo, sopruso, corruzione, guerra, tossicodipendenza, disoccupazione, emarginazione) e tenevano conto di ciò che accadeva nel mondo, soprattutto in Inghilterra. L’uscita di scena del governo laburista di James Callaghan e l’insediamento della signora Margaret Tahtcher, punta di diamante della frangia più estrema del Partito Conservatore, fu fortemente avversato dai Clash. Nel giorno delle elezioni pubblicarono l’EP “The Cost Of Living”. Joe Strummer voleva che in copertina apparisse una foto della Thatcher sovrapposta a una svastica ma Mick Jones si impose: «Niente foto di politicanti sulle copertine dei nostri dischi».

Con “London Calling” la band londinese approfondiva e ampliava i temi socio-politici che la contraddistinguevano, prendeva definitivamente le distanze dal suono punk e si spingeva in nuovi territori, avvicinandosi a reggae, soul e al rockabilly. «Dall’inizio del 1979 avevamo fatto tre brevi tour negli Stati Uniti e qualcuno pensò che fu l’esperienza americana a cambiare il nostro stile» dirà Mick Jones, «Non è così. Sicuramente i viaggi negli States, tra il 1978 e il 1979, ebbero una loro incidenza ma furono i testi che scrivevamo a offrirci lo stimolo per iniziare a fare tipi diversi di musica». Nessuno tra i fan o tra i critici si sentì tradito per il cambio stilistico della band. Come disse Steve “Roadent” Conolly, roadie e amico del gruppo (vedi box), «I Clash e Joe Strummer sono stati accusati di assumere nuove identità a piacimento. Sì, è vero e allora? È normale che accada in un processo di crescita.

london calling the clash
The Clash, London Calling, Tower Theather © John Joe Coffey via Flikr

La maggior parte della gente passa la vita a non capire un accidente di ciò che succede e poi, a un certo punto, muore. Penso che cambiare sia la cosa più onesta da fare». In precedenza la band era stata oggetto di considerazioni positive e negative, in alcuni casi provenienti dalla stessa persona. Il giornalista Mark Perry un paio di anni prima aveva incensato il primo album dei Clash sulle pagine di Sniffin’ Glue, dicendo: «È la cosa più importante che sia mai stata pubblicata. Ascoltare “The Clash” è come vedere la propria vita in un film». Lo stesso Perry, in un altro articolo aveva scritto: «Il punk è morto il giorno che i Clash hanno firmato un contratto con la CBS». Mick Jones, dopo averlo saputo, disse a Perry che doveva smetterla di dire certe «stronzate» altrimenti gli avrebbe fatto delle scarpe di cemento e lo avrebbe buttato nel Tamigi. Negli anni Settanta la stampa aveva una certa influenza e poteva condizionare pesantemente le scelte dei lettori. Capitava così che qualche giornalista ammalato di protagonismo perdesse di vista il senso del proprio lavoro. Jon Savage, una delle firme di Sounds, per esempio, fu molto critico nei confronti dei Clash, arrivando quasi all’offesa personale. Savage aveva spesso un atteggiamento scontroso e irriverente. Si diede una calmata grazie al comportamento persuasivo di Jean-Jacques Burnel, il bassista degli Stranglers che, arrabbiato per una arrogante e distruttiva recensione di “No More Heroes”, lo cercò in giro per Londra. Dopo tre settimane lo trovò in un locale, il Red Cow, gli gettò un drink in faccia e lo prese a calci nella schiena. «L’ira di Jean-Jacques è ampiamente condivisibile» disse Hugh Cornwell, frontman degli Stranglers. Erano i giorni del punk.

 

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Testo di Maurizio Maus Principato

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