Marco Mengoni, tra Beatles e Pink Floyd, ci racconta dell’Eurovision

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© Marco Mengoni
Ci siamo collegati con Marco Mengoni da Liverpool, per farci raccontare come sta vivendo questi giorni che precedono la sua partecipazione all’Eurovision 2023.

Emozionato, sincero, spontaneo. Sembra quasi di avere a che fare con un amico che conosciamo da anni. La naturalezza con cui ci parla dei fatti suoi ti fa venir voglia di saperne di più, e ci ha accontentato: abbiamo parlato di competizione, i suoi miglioramenti in inglese, dei Beatles, dei Pink Floyd, della portata del significato del brano che porterà sul palco, Due Vite. Ecco quello che Marco Mengoni ci ha detto a proposito del suo ritorno all’Eurovision Song Contest, 10 anni dopo.

 

Ciao Marco, è un piacere ritrovarci: cosa accadrà sul palco quest’anno?

L’Eurovision è un mondo magico e fantastico, e la performance che il mio team ed io abbiamo progettato non è da meno. Abbiamo avuto un po’ di difficoltà nel rendere visual il senso di Due Vite, che parla di conscio e inconscio, di una verità mascherata dal filtro della nostra percezione. Il discorso della dualità comunque sarà molto chiaro, grazie all’aiuto di artisti che stimo moltissimo come Yoann Borgeois e i Black Skull Creative, con cui ho già sviluppato la costruzione dei miei ultimi (e prossimi) show live.

 

Tutti chi chiediamo come ti senti ora, dopo 10 anni, a ricalcare (metaforicamente) i passi che ti hanno portato la prima volta sul palco dell’Eurovision.

La differenza è che sono più grande. In questi anni ho avuto la possibilità di fare numerose esperienze e ho maturato anche l’importanza che ha questo palco. 10 anni fa mi sono fatto prendere molto dallo stress della performance, mentre quest’anno parto avvantaggiato da ciò che ho avuto la possibilità di imparare in questi anni di carriera. Ho trovato l’energia giusta che mi consente di superare le (comunque numerosissime) prove, come le interviste a raffica che sto rilasciando in questi giorni, i ritmi in studio per la chiusura della trilogia di Materia. E inoltre essere nella città natale dei Beatles, Liverpool, è un onore. È uno dei gruppi che mi ha da sempre ispirato e che ha contribuito di più nella storia della musica.

Marco Mengoni Eurovision 2023
Marco Mengoni © Andrea Bianchera

In quale modo senti di subire l’influenza dei Beatles?

I Beatles hanno dato una svolta decisiva alla musica pop: hanno cambiato la storia della musica per sempre. Hanno sfumature che toccano tutti i colori dell’arcobaleno, hanno analizzato ed esaminato ogni angolo della musica mondiale, e per forza di cose ne siamo tutti soggetti. Anche chi non li ascolta ne è inevitabilmente influenzato attraverso le altre band. E soprattutto sono portatori di messaggi pacifici, e questo è un discorso attualissimo su cui varrebbe la pena spendere due parole.

 

Siamo d’accordo; quest’anno (come il precedente) il palco dell’Eurovision è a supporto dell’Ucraina, e sarà un’ottima occasione dove far sentire la propria voce. Come sai, se non fosse stato per la guerra l’evento si sarebbe tenuto a Kiev. Quale messaggio di pace vuoi portare sul palco?

La musica è un mezzo per comunicare le proprie idee, diffondere messaggi e sensibilizzare le persone. La mia musica è un grido di positività, amore e pace. A me sarebbe piaciuto andare a Kiev, partirei domani stesso, vorrebbe dire che la guerra è finita, che non ci sono più persone che soffrono in quel modo. Essere qui, da tutta Europa a Liverpool, significa dare la possibilità alla musica di unirci, e noi possiamo - dobbiamo stare uniti nella musica con il nostro grido di pace e solidarietà. Se posso urlarlo, lo urlo: sono profondamente contrario a qualsiasi tipo di guerra nel mondo.

 

E invece, tornando alla competizione, come ti fa sentire l’idea di dover gareggiare di nuovo contro artisti da tutt’Europa?

A dir la verità, cerco di stare il più lontano possibile dalla competizione. Pensare che ci si possa fare lo sgambetto l’uno con l’altro, che ci sia una classifica, che ci sarà un vincitore e decine di perdenti, non mi fa sentire a mio agio. La gara mi sa sempre di qualcosa di negativo; ciascuno porta il suo, sperando che tutti i messaggi lanciati siano positivi per tutti coloro che si collegheranno per ascoltare i brani. Così come lo slogan di quest’anno, “United by Music” metterei anche io l’accento sulla parola “unione”.

 

Nonostante non ci sia la pressione della gara, non senti quella di rappresentare il nostro Paese?

Faccio uno dei mestieri più belli del mondo, posso sbagliare, sono un essere umano e magari succederà. Mi farà bene, fa parte della vita, gli errori sono molto importanti. Ci saranno ovviamente persone a cui non piacerà quello che faccio ma che importa, io sono soddisfatto del mio lavoro, spero di tenere l’ansia da competizione il più lontano possibile. Quindi per me conta solo divertirmi su quel palco.

 

Tra due giorni ci sono i David, sei candidato come miglior canzone originale con Caro amore lontanissimo, parte della colonna sonora de Il Colibrì, il film di Francesca Archibugi. Che effetto ti fa?

La prima sensazione è di dispiacere: sono stato candidato per la prima volta nella mia vita ai David di Donatello e mi dispiace mortalmente non poter essere lì. Ancora non abbiamo comprato un clone di me stesso ma stiamo provvedendo (ride). Avere una nomination con un pezzo poi così importante, e con un film di quel calibro, mi rende felicissimo ma mi dispiace moltissimo di non potermi sdoppiare per partecipare di persona.

 

E dicci un po’ del tuo prossimo album, che chiude la trilogia “Materia”. Il titolo, Prisma, ha qualcosa a che fare con The Dark Side of the Moon?

Io ci dormo con i Pink Floyd (mostra il pigiama con una grafica della copertina di The Dark Side of the Moon). La scelta della copertina l’ho fatta prima di sapere che quest’anno si celebrano i 50 anni del disco, ed è un profondo piacere in qualche modo rendere omaggio a questo capolavoro.

 

A seguire ci sarà un tour europeo, giusto?

Il piccolo tour in Europa sarà in posti grandi. Sono contento di andarmi a confrontare con questi spazi e vedere quante persone saranno felici di partecipare ai miei concerti, con la mia musica che risuona anche in loro. Il prossimo autunno suonerò in 8 nuovi paesi: in Spagna, Francia, Belgio… Voglio vivermi anche quello in questo spirito di serenità, senza ansie.

 

Infine, volevamo chiederti un’ultima cosa: perché hai scelto di riportare sugli schermi Due Vite invece che un singolo dal tuo nuovo album ancora inedito?

Non lo so, dopo Sanremo avevo ancora il “jet lag” del festival. Mi sono voluto prendere un po’ di tempo per arrivare in studio e rimettere la testa sul disco. L’ultima e terza parte di Materia è molto importante, e ho deciso di lasciarmi una porta aperta per capire se avrei potuto portare un brano di quelli. Ma in realtà, Due Vite è un viaggio. È la conclusione di una fase di un lavoro su di me. Era giusto che condividessi con l’Europa questa parte intima ma molto presente e viva in me, l’ho scelta perché mi sembrava il brano più giusto. E vorrei aggiungere che il messaggio che porto con questo brano è di non perdere tempo, perché ce n’è pochissimo, e non lo possiamo decidere noi. Se si è consapevoli di buttarlo via, ok, arriverà prima il tuo futuro. Ma in generale essere presenti è la cosa più importante da tenere a mente. Non si deve perdere tempo. Mai.

 

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