La New Wave del PROG

prog
La splendida copertina del primo album dei Marillion, opera (come tutte quelle dell’era Fish) del pittore Mark Wilkinson.
Il prog non è mai morto del tutto. Però negli anni Ottanta ha sofferto parecchio; allora, zoomiamo su quel decennio, provando a ricostruire una mappa dei musicisti che hanno permesso al PROG di rialzare la testa.

Tratto da Classic Rock 125 

Londra, 1977. “Dio salvi la Regina”, cantano i Sex Pistols. Il sottotitolo (non scritto) potrebbe essere “e fulmini tutta la musica vecchia, specie quei vecchi tromboni dei musicisti prog”. Ma la verità è che il progressive ha già sparato le sue cartucce migliori, con molti dei suoi artisti più rappresentativi in difficoltà e in crisi di identità. Il ciclone punk, quindi, arriva giusto in tempo per fare tabula rasa, al punto che, nella seconda metà degli anni Settanta, molte band storiche sono già sciolte o in palese ribasso. Ad alti livelli, resistono soltanto Pink Floyd e Genesis; tutti gli altri, praticamente, spariscono. Quando anche il punk, destinato in ogni caso a durare poco, si fa da parte per lasciare spazio alla new wave prima e al new romantic poi, siamo già a cavallo tra due decenni, ma intanto chi ha tanto amato le copertine delicate, le atmosfere sognanti, i tempi dispari, gli assoli virtuosi, ha due opzioni: lasciarsi catturare dalle nuove ondate musicali, oppure rifugiarsi nel mondo dei ricordi e dei rimpianti.

Dire che in questo arco temporale i musicisti prog abbiano tutti cambiato mestiere o stile sarebbe però un’esagerazione, perché un sottobosco di produzioni, per quanto spesso minori, c’è sempre stato. Il prog, checché se ne dica, non è mai morto del tutto e anzi, a partire dagli anni Novanta, si è in parte rinnovato grazie anche all’apertura a sottogeneri (prog metal in testa). Però negli anni Ottanta è stata dura, inutile negarlo. E allora in questo articolo vogliamo concentrarci proprio su quel decennio, provando a ricostruire una mappa di quelli che sono stati i dischi e i musicisti che hanno permesso al prog di rialzare la testa. Sia chiaro: non tutti questi album sono capolavori del rock (tutt’altro). Inoltre, se non si è appassionati, molti nomi risulteranno sconosciuti. Ma pur senza alcuna pretesa enciclopedica, sono stati più o meno questi i dischi e gli artisti che hanno contribuito a tener vivo e a ridare dignità al prog. E a renderlo, in definitiva, ciò che è oggi.

1. Rousseau - Flower in Asphalt

Streyrer Disco, 1980

Il disco più antico qui presente appartiene per molti versi ancora agli anni Settanta. Nati nel 1977, i tedeschi Rousseau esordiscono in apertura di decennio con questo bel lavoro interamente strumentale. I riferimenti più evidenti portano in casa Camel, anche per la presenza di un flauto che addolcisce la partenza ritmica di Skylight. Ma ci sono altri stimoli, con alternanze di stati d’animo anche in uno stesso brano. La chitarra, ad esempio, ondeggia tra riff bizzarri e solismi malinconici, mentre le molteplici tastiere di Rainer Hoffmann (pianoforte a coda Yamaha, Mellotron, Hammond) provvedono all’aspetto più delicatamente sinfonico. Una festa, in anni così aridi, per chi ama certe atmosfere.

2. Saga - Worlds Apart

Polydor, 1981

“Smettila di cantare come un chierichetto”, urlò il produttore Rupert Hine a Michael Sadler, vocalist dalla timbrica in effetti
un po’ melensa, aggettivo che peraltro riflette un po’ tutta la musica del gruppo canadese che, formatosi alla fine del decennio precedente, raggiunge il massimo della popolarità con questo quarto disco, che entra nella top 30 americana ma piace soprattutto in Germania. Anche se un brano come Conversations mette in vetrina ottime qualità tecniche, l’inclusione dei Saga in questo articolo è più simbolica che prettamente artistica, in rappresentanza di un certo tipo di soft-rock ai confini con l’AOR che conquisterà comunque una discreta fetta di mercato.

3. Quasar  - Fire In The Sky

Q Records, 1982

Seppure con una line-up a dir poco instabile (tra i fondatori, membri poi arruolati da star come Bill Bruford e Billy Cobham), gli inglesi Quasar sono sempre stati un progetto del bassista e chitarrista acustico Keith Turner. Nel primo album, dove non manca qualche ingenuità tipica del periodo sia a livello di tematiche che di sonorità, spiccano i 13 minuti di Mission 14, mentre il lato B è costituito dalla suite U.F.O.: quattro movimenti che disegnano un prog sinfonico e melodico suggellato dalla voce delicata di Paul Vigrass e gli incastri strumentali tra le tastiere di Dillon Tonkin e il guitar synth di Cyrus Khajavi. Tutt’altro che trascurabile, considerando l’anno di pubblicazione.

4. Twelfth Night - Fact And Fiction

Autoprodotto, 1982

Nonostante certi suoni vetusti (la chitarra flangerizzata o la batteria elettronica, peraltro una scelta), paradossalmente uno dei dischi invecchiati meglio. Merito di alcune effettistiche (lo scrosciare dell’acqua, le voci di bambini che giocano) ma soprattutto della personalità debordante di Geoff Mann: autore di testi intensi e cantante dalle mille sfaccettature (ottimo melodista che alterna falsetti e urla alla Peter Hammill) che, per giunta, in concerto si traveste e rende più teatrale la sua performance. Mann lascerà il gruppo pochi mesi dopo e morirà di cancro nel 1993. Ci lascia questo grande disco e una title-track che, pur essendo precedente, suona più The Smiths che Genesis.

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1 comment
  1. Salve come al solito l’accostamento con il punk non mi piace . Gli anni 80 sono stati amari per il Progressive è un dato di fatto , poche novità e produttività . Ma come dicevano i vecchietti quando ero giovane “noi altri abbiamo fatto la guerra “ e il Progressive vi ha partecipato con una vera rivoluzione , da non accostare a quello del 77 . Purtroppo ci sono le mode ed ha perso consensi ma il zoccolo duro che non interessano le mode è rimasto non per moda ma per godimento . Per quelli rimasti ci vediamo a Veruno , il Paradiso del Prog . Giuseppe Rainoldi

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