Testo: Renato Marengo Foto: Patrizia Casetta
Il 1973 è un anno per me indimenticabile: oltre che come giornalista musicale, sto raccogliendo importanti successi come produttore e conduttore radiofonico. E soprattutto, ha ingranato alla grande la mia collaborazione con «Ciao 2001», dove comincio a “imporre” sempre di più (e sempre meglio) il Napule’s Power. Un bel giorno, visto come stiamo andando forte con gli Lp e con i concerti della NCCP, Eugenio Bennato mi dice a bruciapelo: “Ma tu lo sai che io ho un fratello che secondo me può diventare un grande del rock italiano?”, e mi parla di Edoardo. “Gli stiamo attorno io, Patrizio Trampetti e Roberto De Simone, che gli ha fatto degli arrangiamenti. Ha appena terminato il suo primo album con la produzione di Sandro Colombini, solo che il disco è pronto già da qualche mese ma la Ricordi, non si capisce bene perché, sembra quasi averlo messo in cantina. S’intitola NON FARTI CADERE LE BRACCIA.
È uscito ma non lo promuovono: “Aspettiamo”, dicono alla Ricordi, “sappiamo noi quando sarà il momento”. Edoardo già da qualche anno ha fatto cose molto buone come cantautore con la Numero Uno, anche Battisti e Mogol e Herbert Pagani lo apprezzano, ma non succede nulla. “Edoardo è esaurito”, mi confessa Eugenio, “non ce la fa più. Dammi una mano”. Incuriosito da questa accorata presentazione, vado a conoscere Edoardo. E lui mi cattura subito: geniale, unico, alternativo vero, un po’ schizzato, pronto a dar fuoco alle case discografiche. Insomma: pane per i miei denti. Edoardo era pura dinamite, pronto a esplodere. Il fatto è che, come spiegava Eugenio, o riusciva a esplodere alla radio e sui palchi dei concerti o forse avrebbe fatto esplodere lui qualcuno.
Un giorno Edoardo mi fa un discorso apparentemente strampalato, ma che in realtà non fa una piega: “Un medico studia sei anni, fa il suo tirocinio in ospedale e poi, se è bravo, fa il medico. Un artista fa canzoni, suona bene, canta bene, è apprezzato, tutti gli dicono che è bravo e forte, ma deve aspettare... Ma aspettare cosa? Se e quando i dirigenti della casa discografica decideranno di puntare su di lui? Non basta che i pezzi siano giusti?”. Aveva ragione lui.
Il tempo di Edoardo
Ma nel mondo dello spettacolo – si sa – la ragione e la bravura non bastano. E noi, “gente di rock”, non crediamo certo alla fortuna. Ma alla tenacia e alla professionalità sì. E poi, ne ero sicuro, il pubblico era pronto per uno come Edoardo. Ero certo che la sua rabbia sarebbe diventata vangelo per il popolo ribelle del Sud, alla ricerca di qualcuno che li aiutasse a far sentire a tutti il proprio disagio. Edoardo aveva fatto l’album giusto, ma mi rendevo conto che se non fosse uscito fuori quell’anno, forse i suoi “fragili nervi” non avrebbero retto. E quindi accettai la sfida, quella richiesta davvero disperata, ultimativa, da parte di Eugenio. E studiai una serie di cose che – messe in fila l’una dopo l’altra – avrebbero potuto funzionare. Operazioni azzardate, inedite, a guardarle oggi davvero una missione impossibile. La prima cosa fu parlare con Saverio Rotondi, il direttore di «Ciao 2001»: “Va bene, fammelo vedere all’opera, dal vivo. La prossima settimana il nostro editore Francesco Puzzo fa una festa per i 18 anni della figlia e mi ha chiesto di portargli qualche artista. Che dici se chiediamo a Edoardo di venire a fare qualche pezzo? A fatica convinsi Edoardo a esibirsi in una festa privata. Ma ne valse la pena: fece un successo enorme. Tutte le amiche della festeggiata ne rimasero folgorate, ma soprattutto colpì l’editore e Rotondi, che il giorno dopo mi chiesero di scrivere un pezzo su quel fenomenale ragazzo-orchestra. Con una festa di compleanno, stava iniziando la carriera di artista rock italiano per Edoardo. Di lì a poco arrivarono le copertine e il successo. Per Saverio Rotondi la conoscenza con Edoardo divenne anche un modo di entrare nel business: proprio per gestire il repertorio di Edoardo, accanto al giornale Rotondi aprì infatti una casa di edizioni musicali, la Modulo 1…