Ed O’Brien: la nostra recensione di EARTH, primo album solista

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Lo conosciamo come chitarrista dei Radiohead, ma Ed O’Brien è molto di più. E con EARTH, primo disco solista, lo dimostra appieno.

"L'ultima cosa di cui il mondo ha bisogno è un album di merda fatto da me", confessava Edward "Ed" O'Brien. Possiamo rassicurarlo. EARTH, esordio da solista del chitarrista dei Radiohead è un lavoro pregevole, ben cantato, soprattutto se si conta che la grande paura di O'Brien veniva proprio dal dover cantare da solo, per la prima volta, senza il supporto di Thom Yorke.

Non pensavo di cantarle [le mie canzoni], sono completamente fuori dalla mia comfort zone.

Con le sue nove tracce di media lunghezza, EARTH non rinnega il passato di "EOB" all'interno del gruppo, con le sue atmosfere synth e l'ampia collezione di effetti di chitarra, ritmica in particolare. L'opera dà modo però al chitarrista di poter esprimere al meglio la sua personalità, non più all'ombra di quella del resto della band, ma finalmente al centro dei riflettori.

La genesi del disco risale al 2012, quando Ed si trova con la famiglia nella campagna brasiliana. A illuminare e ispirare il musicista – a cui serviranno comunque 8 anni di lavoro – è il caleidoscopico e colorato Carnevale di Rio, che si riflette tanto sulla cover dell'album quanto nella seconda traccia, intitolata appunto Brasil.

Il video della canzone, diretto da Andrew Donoho, era stato già pubblicato a dicembre: un capolavoro in quanto a fotografia, ma anche una preview interessante di quanto contiene il resto del disco. Nei quasi 9 minuti della canzone c'è tutto: il lamento popolare, in acustico, l'elettronica, le atmosfere sognanti che sembrano dilatare spazio e tempo. Come già aveva rivelato Donoho, regista della clip,

Brasil era uno di quei brani che gocciolava di magia fin dall'inizio. L'empatia, l'unione, la meraviglia, la spiritualità e l'esplorazione risuonavano dalla canzone e dai riferimenti. Ed e io condividevamo entrambi l'amore per lo spazio e per i concetti astratti che circondano il tempo, così ho iniziato a costruire una narrazione intorno al superamento delle barriere fisiche dei nostri corpi e delle barriere temporali dell'esperienza lineare.

Il punto di forza di EARTH non sta nella voce dell'artista, né nei testi (costruiti su immagini abbastanza superficiali, come "l'amore che batte la paura"), ma nei paesaggi sonori.

"EOB" si muove molto bene tra le sonorità e le atmosfere acustiche (ma anche un po' retrò) di Long Time Comin' e tra quelle beat di Banksters, che inducono l'ascoltatore in un vortice claustrofobico, senza fine, con quel verso ripetuto come un mantra: "Where did all the money go?".

C'è spazio anche per altri generi e sottogeneri musicali: Shangri-La è musica dance, condita di elettro-pop. Una canzone "mitica" come il paesaggio che l'ha ispirata. Shangri-La è infatti un luogo immaginario del Tibet descritto similmente a un Paradiso nel romanzo Orizzonte perduto di James Hilton. Un ambiente di pace che ispirò, per capirci, la celebre Kashmir dei Led Zeppelin.

Completano il viaggio musicale e immaginario di Ed O' Brien l'ipnotica (ma troppo lunga) Olympic, con le sue tonalità vicine al funk, e la suggestiva Cloak of the Night, arricchita dalla voce soave della cantautrice britannica Laura Marling, un tocco di classe capace di oscurare la modestia del testo.

In definitiva, l'esordio di "EOB" convince, tanto per il suo coraggio di alzare (finalmente) la voce, quanto per la capacità di O'Brien, tra arpeggi e sintetizzatori, di muoversi con fluidità in un mare mosso di generi e sonorità.

Il viaggio sulla "Terra" di O'Brien è appena iniziato. Ma guai a definirlo "solo" il chitarrista dei Radiohead.

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