Mambo italiano III: i batteristi italiani che hanno fatto la storia

Roberto Gatto

Bistrattata e snobbata, la scena musicale italiana ha prodotto eccellenze in ogni ambito, quello percussivo incluso, relagandoci una serie di batteristi che per classe, tecnica inventiva, hanno poco da invidiare ai più blasonati colleghi internazionali.

Testo di Antonio Tony Face Bacciocchi

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Napule’s Power

Per un musicista di grandissimo talento come lui, che ha fatto letteralmente la fame per emergere e suonato in un numero incalcolabile di dischi con i migliori musicisti e artisti italiani (ma anche di diversi big stranieri), dev’essere una mezza condanna essere ricordato soprattutto per un brano di facile presa presentato a un Festival di Sanremo. Ma la vita spesso è così e il napoletano Tullio De Piscopo non rinnega nulla, tantomeno la sua hit Andamento lento:

Con i quattrini di quel singolo ho potuto comprare la casa alla mia famiglia. Se lo meritava. E me lo meritavo pure io, che sono cresciuto a Porta Capuana dormendo in un letto ai piedi di mio fratello Antonio. Ne sentivo l’odore ogni notte. E sentivo mia madre Giuseppina e mio padre Peppe tormentarsi per la pigione da pagare, gli aumenti delle spese, ’e scarpe pe’ nuje criature. Non avevamo nemmeno la doccia, a casa: andavo a farmela il sabato alle docce comunali del Ponte di Casanova.

Detto questo, snocciolare la lista di collaborazioni di Tullio può tranquillamente riempire qualche pagina, cominciando naturalmente dalla principale, quella a cui è più legato artisticamente e umanamente: quella con il compianto Pino Daniele (“Nel 1982, nel tour del disco BELLA ’MBRIANA, presentando la band, Pino diceva: voce e chitarra Tullio De Piscopo; batteria Pino Daniele. Perché noi due, ritmicamente, eravamo una cosa sola”), con il quale ha inciso una decina di album e suonato in altrettanti tour. Ma nel suo curriculum stellare ci sono anche Mina, Fabrizio De André, Astor Piazzolla, Richie Havens, Roberto Vecchioni, Chet Baker, Giorgio Gaber, Enzo Jannacci, Iva Zanicchi, Fausto Leali, Gigi D’Alessio, Rettore, Adriano Celentano, Fausto Papetti, James Senese e perfino Gil Evans – bastano a renderne la versatilità e l’ampiezza stilistica?

All’attivo, ha anche una trentina di suoi album solisti e una serie di colonne sonore. Il suo drumming funambolico e guascone rispecchia il suo carattere esplosivo e solare, con quel gusto tipicamente jazz rock figlio della “generazione Billy Cobham” al quale ha saputo sempre infondere un tocco di anima mediterranea che lo ha reso peculiare e immediatamente riconoscibile.

Tullio de Piscopo

Rimanendo a Napoli non possiamo non citare Tony Esposito che essendo un percussionista non rientra nella categoria “batteristi”, ma che in virtù di una creatività e di una personalità pressoché unica in Italia, è tra i nomi imprescindibili del settore. Curiosamente ma non troppo, ha avuto un percorso non dissimile da quello dell’amico Tullio De Piscopo: da una parte collaborazioni di prestigio e grande spessore, affiancate da escursioni nella musica commerciale di grande successo (su tutte la famosa Kalimba de luna che scalò le classifiche di mezzo mondo nel 1984, ma anche colonne sonore e sigle per trasmissioni televisive) per fare cassa. Esposito ha fatto parte del filone funk jazz denominato “Napoli Power”:

Avevamo la sostanza del suono, una cosa che oggi manca. Pochi microfoni e pochissima tecnologia, ma avevamo il suono, il tocco, il timing, tutte cose che il computer ha cancellato nei nuovi musicisti. La nostra musica era speranza e riscatto, ambivamo a confrontarci con i grandi, i nostri grandi, quelli che hanno fatto la storia della musica, dei suoni e dei generi.

Ha partecipato a un’infinita lista di dischi di personaggi di primo piano della scena italiana, da Guccini a Vecchioni, da Bennato ad Alan Sorrenti, dal Perigeo a Pino Daniele, ma anche con grandi della musica internazionale come Don Cherry, Nanà Vasconcelos, Gilberto Gil, Eumir Deodato, Gato Barbieri, Billy Cobham e Brian Auger. Ed è stato tra i primi, negli anni 70, a portare la musica africana nel sound pop, a mischiare atmosfere mediterranee con suoni che arrivavano da lontano, precorrendo quella che poi sarebbe diventata la cosiddetta world music, introducendo spesso strumenti percussivi inusuali o sconosciuti in Europa (inventandone addirittura uno, il tamborder) e mischiando il tutto anche con l’elettronica.

In continua e fervida attività, è sempre alla ricerca di nuovi stimoli e contaminazioni. È impossibile parlare di Napoli senza soffermarsi sulla mitica figura di Franco Del Prete, anche lui, come i suoi conterranei, artista polivalente che non si è mai limitato al solo drumming. Nasce con gli Showmen, potentissima band di rhythm and blues in cui troviamo anche James Senese (poi con lui in Napoli Centrale) e Elio D’Anna (che ritroveremo negli Osanna). La band partenopea lascerà un ottimo album, nel 1969: sound “nerissimo”, con riprese di James Brown e di Mercy Mercy Mercy, un brano scritto da Joe Zawinul per Cannonball Adderley e tradotto come Credi credi credi in me.

A metà anni 70, con Senese fonda la meravigliosa esperienza di Napoli Centrale, jazz fusion rock mediterranea con un substrato lirico anche sociopolitico (l’indimenticata Campagna, invettiva contro i padroni che sfruttano il lavoro dei contadini, il cui testo è farina del sacco di Del Prete). Allo scioglimento della band seguiranno numerose esperienze, da Eduardo De Crescenzo a Peppino Di Capri, da Sal Vinci a Enzo Gragnaniello, dall’amico James Senese (con cui collabora anche nel recente O SANGHE) a Gino Paoli. Il drumming di Del Prete è imperioso, sanguigno, tipicamente jazz funk rock (dalle parti di Chester Thompson dei Weather Report di BLACK MARKET). Un paio di esempi illuminanti in tal senso li troviamo nella già citata Campagna e in ’A gente ’e Bucciano, entrambi di Napoli Centrale.

Franco del Prete

Bacchette prog

Tra i nomi di maggior rilievo del progressive italiano dei 70’s, Le Orme hanno sempre giocato un ruolo di primo piano (basti pensare che COLLAGE del 1971 è spesso indicato come il primo album prog nostrano). Nel corso degli anni, si sono succeduti scioglimenti e semi-reunion, spesso tra polemiche di vario tipo sulla legittimità dell’utilizzo del nome. A noi interessa sottolineare il ruolo tecnico-strumentale di Michi Dei Rossi, funambolo dei tamburi e possente colonna vertebrale della band veneta, di cui è sempre stato l’unico componente fisso dalla nascita in poi. Ne consegue che il suo drumming, deciso, tecnico e precisissimo è una delle caratteristiche peculiari delle Orme. La band prosegue imperterrita fino ai nostri giorni a viaggiare in ambito prog, tra festival, affollati concerti e nuovi album.

Negli anni 60-70 eravamo noi giovani con i giovani e rappresentavamo la stessa cosa. Noi suonavamo la musica di rottura socialmente e politicamente, loro ascoltavano ma diventava una cosa sola perché noi eravamo fan di noi stessi, cioè fan di quello che era il movimento.

La sensazione trasmessa dall’ascolto degli assoli di Walter Calloni o del suo semplice apporto ritmico a un qualunque brano è “forza”. Una forza propulsiva, un’energia senza fine, una spinta di una potenza rara che rende speciali, ai suoi esordi, giovanissimo, brani di Eugenio Finardi come la storica Musica ribelle, il funky Sì, viaggiare di Lucio Battisti o i suoi interventi in MALEDETTI degli Area. Ma lo troviamo anche con Fabrizio De André, Ivano Fossati, Enzo Jannacci, Roberto Vecchioni, Mauro Pagani, Alberto Fortis, Ornella Vanoni, Grazia Di Michele e Renato Zero. Su tutto, ovviamente, la Premiata Forneria Marconi: quando nel 1980 Franz Di Cioccio passa al canto, Walter ne è l’ideale e perfetto sostituto. Il resto della sua carriera è un’infinita serie di collaborazioni e iniziative varie, tra cui L’Arte della Batteria College, una scuola dedicata ai batteristi, dove è direttore ed insegnante, presso il Borgo della Musica a Milano.

Poi c’è Agostino Marangolo, che nasce artisticamente con i Goblin a metà degli anni 70, subito dopo la consacrazione commerciale con la colonna sonora di Profondo rosso di Dario Argento. All’impegno con i Goblin alterna una serie di altre collaborazioni, da Napoli Centrale ad Antonello Venditti (nel celeberrimo album del 1979 BUONA DOMENICA il suo drumming caratterizza, con un perfetto groove, la fortunata title track), passando per Branduardi, Cocciante, Niccolò Fabi, Edoardo Bennato e New Perigeo. A lungo lo troviamo nei dischi di Pino Daniele, oltre che in diversi suoi tour. Al suo attivo, anche libri e un paio di ottimi album solisti che ne esaltano il tocco funk jazz e una padronanza dello strumento che ha pochi eguali.

Nel mio stile il primo pensiero è sempre stato quello di trovare una strada che mi diversificasse dal resto, anche nel mio modo di suonare. C’è sempre stata la voglia di “firmare” il brano che stavo suonando, si trattasse di musica leggera o di brani più complessi. Questa personalizzazione è stata frutto di uno studio mirato alla sonorità e alla dinamica.

La batteria è la regia della musica

Di estrazione più jazzistica è invece Roberto Gatto, che vanta collaborazioni con George Coleman, Chet Baker, John Abercrombie, John Scofield, Pat Metheny, ed Enrico Rava tra i tanti. Spesso però lo troviamo a fianco dei nomi migliori della musica pop italiana, da Mina a Pino Daniele, da Fossati a Lucio Dalla. Ha all’attivo numerose produzioni soliste e una serie, in costante evoluzione, di progetti di ogni tipo, spesso in ambito didattico. Come ha spiegato a «Jazzitalia»:

Nella storia della musica, la batteria è lo strumento per eccellenza che fa rumore, o comunque il batterista è quello che ne sa meno di tutti in termini musicali, e devo dire che è stato sicuramente così per anni, anche se però poi bisogna anche pensare che la batteria è un po’ la regia della musica. È successo nei gruppi rock, per non parlare nei gruppi jazz, nelle big band, il batterista è stato sempre un po’ il motore del gruppo, dell’orchestra. Quindi, quello che io cerco di fare nel mio modo di suonare ma soprattutto nel mio pensiero di musicista è cercare di elevare il ruolo di questo strumento suonandolo da musicista, essendo musicista a tutti gli effetti.

Io, infatti, mi dissocio abbastanza dal mondo della batteria, dal mondo delle competizioni. Mi piace fare degli incontri con delle persone, con degli allievi, degli appassionati di batteria in cui si parla di tante cose, di aneddoti, ma soprattutto di musica. Non mi sono mai limitato a essere “uno dei migliori batteristi”, non m’interessa. Sono classifiche che mi possono far piacere da un certo punto di vista, però io faccio altre cose. Se devo studiare qualcosa, studio la musica in senso più generale. Quindi ascolto, studio, scrivo. Cerco però di essere sempre al servizio della musica e questa forse è la caratteristica che mi fa essere magari apprezzato o richiesto.

Roberto Gatto

La lista potrebbe continuare ancora a lungo e sarebbe sicuramente oggetto di dibattito acceso tra gli appassionati. Personalmente aggiungo una serie di nomi “minori” appartenenti alla scena cosiddetta “indipendente” o “underground”, batteristi che non hanno fatto la storia dello strumento né vengono segnalati per la loro eccelsa perizia tecnica (che tuttavia non manca), ma che è doveroso ricordare per il segno che hanno saputo lasciare in ambiti magari limitati ma spesso seguiti e amati: da Helder Stefanini, per anni nell’hardcore punk band Raw Power, che ha conquistato i palchi americani negli anni 80, a Fabio Rondanini, che si divide tra Calibro 35 e, da poco tempo, Afterhours, a Ferdinando Masi, eccellente base ritmica reggaeska dei Casino Royale prima e poi dei Bluebeaters. Ambito in cui eccelle da oltre trent’anni Giovanni Naska Deidda degli Statuto, che appartiene allo stesso periodo in cui iniziò la carriera Ringo De Palma, prematuramente scomparso – indimenticato batterista dei Litfiba dei primi tre album e successivamente dei CCCP. Ultime citazioni per Francesco Valente del Teatro degli Orrori e per il drumming personalissimo di Massimo Ferrarotto, membro della band di Cesare Basile.

Questo articolo è tratto dallo speciale di Sprea dedicato ai 50 Batteristi che hanno fatto la storia del Rock. Puoi acquistare la tua copia nel nostro store online.

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