Negli anni dell’adolescenza sono stato a lungo perseguitato da un incubo ricorrente: tutte le volte che avevo la febbre, sognavo di trovarmi in viaggio su un’autostrada con i miei genitori.
All’improvviso, vedevo un gigantesco aereo avvitarsi in cielo per poi precipitare e schiantarsi a pochi metri dalla nostra automobile. E ogni volta mi svegliavo di soprassalto, sudato e sconvolto. Molto tempo dopo, quando quell’incubo era diventato solo un lontano ricordo, mi capitò di vedere un film intitolato Segnali dal futuro, nel quale il protagonista viveva esattamente la stessa situazione. Ne fui a lungo profondamente turbato, al punto di provare un ciclico bisogno di guardare e riguardare quel film, morbosamente attratto da quella spettacolare e macabra scena.
Un giorno poi, riordinando i miei dischi, mi trovai tra le mani la mia vecchia copia di STREET SURVIVORS, il quinto album dei Lynyrd Skynyrd, quello pubblicato tre giorni prima del disastro aereo che decimò la formazione originale della band. Ed ebbi una specie di epifania: da ragazzo, quel disco e quella copertina così tragicamente profetica mi avevano letteralmente ossessionato. E That Smell, in particolare, era diventata una delle mie canzoni del cuore. La riascoltavo per delle ore, rimettendo sempre la puntina indietro, mentre me ne stavo lì a fissare quell’immagine fiammeggiante. Ecco quale era stata la causa del mio incubo!
È quindi con un groviglio di sentimenti contrastanti che oggi vi consiglio di tuffarvi nel lungo articolo che Jaan Uhelszki, una delle più prestigiose firme del giornalismo rock americano, ha dedicato alla saga dei Lynyrd Skynyrd. Di pezzi su di loro ne ho letti parecchi nella mia vita, ma questo mi ha stecchito: è una sinistra storia di fantasmi e presenze, premonizioni e destini già scritti. Una moderna storia gotica. Ed è curioso che quest’articolo, a lungo tenuto nel cassetto in attesa di utilizzo, veda la luce proprio adesso, in un numero di «Classic Rock» che in gran parte delle sue pagine guarda decisamente altrove, alla musica degli anni Ottanta.
Volendo, potrei trovarci una spiegazione psicoanalitica: all’epoca, mentre vivevo la mia vita di ragazzo negli anni Ottanta, mi sentivo un po’ a disagio e faticavo a riconoscermi in quell’estetica e in quelle sonorità. Sapevo per certo che la mia musica non era quella. I Lynyrd Skynyrd, invece, lo erano. E così, mi viene il sospetto che proporli proprio in questo numero così “Eighties” abbia per me il sapore di una piccola vendetta personale. Spero che la lettura che vi sto suggerendo vi emozioni quanto ha emozionato me, e magari vi faccia venire la voglia di rispolverare i dischi di questa band così meravigliosamente fuori moda.