Articoli - Stone Music https://stonemusic.it Il Portale in cui batte un vero cuore rock Tue, 20 Feb 2024 19:21:58 +0000 it-IT hourly 1 https://i1.wp.com/stonemusic.it/wp-content/uploads/2019/05/cropped-favicon-1.png?fit=32%2C32&ssl=1 Articoli - Stone Music https://stonemusic.it 32 32 178453812 SEMIRAMIS: Tornare a vivere il prog https://stonemusic.it/65367/semiramis-tornare-a-vivere-il-prog/ https://stonemusic.it/65367/semiramis-tornare-a-vivere-il-prog/#respond Tue, 20 Feb 2024 17:07:56 +0000 https://stonemusic.it/?p=65367 Dopo la scomparsa di due membri storici, la storia dei Semiramis sembrava finita. Poi Paolo Faenza ha capito che “la fine non esiste”.

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A distanza di 50 anni da DEDICATO A FRAZZ, capolavoro del prog nazionale, la band romana torna con un nuovo stupendo album: LA FINE NON ESISTE. Nostalgia? Potere della musica? Ci spiega tutto il batterista Paolo Faenza.

Dalla reunion di qualche anno fa sono mancati Maurizio Zarrillo e Giampiero Artegiani. L’esperienza dei Semiramis sembrava finita, poi sei ripartito con dei musicisti giovani. Cosa ti ha spinto a non arrenderti?
Non è stato facile. Maurizio era la band, Giampiero lo consideravo mio fratello. Ti confesso che volevo mollare tutto, ma gli altri mi hanno convinto ad andare avanti. C’era come la sensazione che “loro” avrebbero voluto così. Il titolo LA FINE NON ESISTE arriva anche da questo.

Cosa è rimasto di quei Semiramis? T’interessa cercare un legame o calarvi in una nuova visione?
In realtà, è una via di mezzo. Il nuovo album contiene due brani riarrangiati dal live del 2017 e quattro nuovi, elaborati con Daniele Sorrenti, il nuovo tastierista, uno dei motori del gruppo. Abbiamo voluto riprendere alcune sonorità di DEDICATO A FRAZZ ed elaborarle in un contesto moderno, hard rock dal piglio sinfonico, con chitarre, vibrafono
e soprattutto organo Hammond, che ritengo lo strumento base per la nostra musica. Naturalmente tutti hanno fatto la loro parte. La band si completa con Ivo Mileto al basso, Marco Palma, chitarra acustica, Emanuele Barco, chitarrista, e il cantante Giovanni Barco.

Come avete lavorato al nuovo materiale e cosa vi aspettate in termini di accoglienza?
Lo sappiamo, ma ringrazio di avere musicisti giovani che ci aiutano in questo aspetto. Con il manager Massimo Buffa ci siamo confrontati su come muoverci, inoltre io mi sono sempre aggiornato sulla tecnologia, come musicista e non solo. Noi facciamo tutto con passione, per la musica prog. Sono convinto che dopo Rossini, Puccini, Verdi la vera grande musica sia la musica progressiva, che richiede studio, impegno applicazione. Non dico che il resto non m’interessi, ma suonare prog riporta il musicista al centro…

 

di: Gianni Della Cioppa

…Continua sull’ultimo numero di Classic Rock, disponibile in edicola e online!

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5 cose che (forse) non sapevate su Jon Lord dei Deep Purple https://stonemusic.it/40890/jon-lord-deep-purple/ https://stonemusic.it/40890/jon-lord-deep-purple/#respond Wed, 14 Feb 2024 17:00:22 +0000 https://stonemusic.it/?p=40890 Chi era Jon Lord prima di entrare nei Deep Purple? Ve lo raccontiamo in questo articolo.Non si può…

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Chi era Jon Lord prima di entrare nei Deep Purple? Ve lo raccontiamo in questo articolo.

Non si può dire che la vita di Jon Lord non sia stata vissuta al massimo: con le sue sperimentazioni con la tastiera e con l'organo Hammond è entrato di diritto nella storia della musica (vi abbiamo raccontato in questo articolo il suo contributo per la celebre Highway Star).

Può essere, però, che anche i fan più accaniti dei Deep Purple – e di Lord in particolare – si siano fatti sfuggire alcuni dettagli sulla carriera e sulla vita dell'artista precedenti all'entrata nella band. Per questo proponiamo 5 curiosità sugli inizi del percorso artistico di Jon Lord che (forse) non conoscete. 

1. I primi passi con il pianoforte

Da bambino, Lord fu iniziato alla musica tramite un approccio classico al pianoforte caldeggiato dal padre, anch'egli un musicista, più in particolare un sassofonista, originario della zona di Leicester in Inghilterra, luogo che rimase sempre impresso nella mente e nel cuore di Lord.

Così, fin dalla primissima infanzia – iniziò a suonare a cinque anni – Lord sviluppò un gusto particolare per la musica classica diventando un grande estimatore di Bach al quale avrebbe fatto spesso riferimento all'interno del suo lavoro futuro (per esempio nel brano riportato qui sotto, Bach Onto This, del 1982).

2. La passione per il teatro

Da ragazzo, Lord si trasferì a Londra per inseguire il suo sogno... e no, non si trattava della musica ma della recitazione. In effetti, inizialmente Lord avrebbe voluto farsi un nome nell'ambiente del teatro o del grande schermo. Per questo motivo, nel 1963 divenne un membro fondatore del Drama Centre di Londra, una scuola di teatro presso la quale Lord stesso si diplomò l'anno successivo.

Dopo il diploma, ottenne perfino una parte in una soap opera inglese a sfondo medico, Emergency - Ward 10.

3. Il suo cameo con i Kinks

Conoscete la hit del 1964 dei Kinks, You Really Got Me? Bene, Jon Lord compare nei credits della canzone come tastierista. La questione, però, sembra complicata dato che, diversi anni dopo l'uscita del pezzo, Ray Davies dei Kinks affermò che, in realtà, le mani dietro la tastiera di You Really Got Me sono del direttore d'orchestra, compositore e pianista Arthur Greenslade.

4. L'introduzione "jazz" al mercato musicale

Prima di entrare a far parte dei Deep Purple, Lord militò in diverse altre band: prima di tutto, la sua carriera musicale iniziò nel 1960 quando entrò a far parte del gruppo jazz The Bill Ashton Combo, il cui nome proviene dal membro più prominente del gruppo, Ashton, appunto, un sassofonista di spicco del panorama londinese.

Qualche anno più tardi, sia Lord che Ashton conobbero il cantante blues Art Wood con il quale, verso la fine del 1963, Lord creò gli Art Wood Combo (band alla quale parteciparono anche il batterista Red Dunnage, il chitarrista Derek Griffiths e il bassista Malcolm Pool).

Quando, nel dicembre del 1964 Red Dunnage lasciò la band e venne sostituito da Keef Hartley, il gruppo cambiò nome in The Artwoods e, per via del successo raggiunto, i musicisti vennero invitati a diverse trasmissioni radiofoniche e televisive. Qui sotto, l'audio originale del live degli Artwoods durante la loro esibizione per Ready, Strady, Go!, un programma televisivo inglese incentrato sulla musica pop e rock

5. La svolta "gangster"

Per gli Artwoods, però, il successo commerciale non arrivò mai. Così la band si sciolse per poi tornare insieme nel 1967 con il nome di St. Valentine's Day Massacre. Questo nuovo nome era un chiaro riferimento ai fatti avvenuti a Chicago il giorno di San Valentino del 1929: una strage che vide l'assassinio di sette persone e che fu voluta dal gangster Al Capone per un regolamento di conti fra clan mafiosi.

L'uscita nelle sale del film cult Gangster Story (conosciuto anche con il suo titolo originale Bonnie and Clyde), nel 1967, ridiede vita al mito del gangster nato negli Stati Uniti degli anni 30. 

Così, Lord e soci vollero tentare di cavalcare l'onda di questo revival ma le cose non andarono come sperato e ognuno dei membri della band iniziò a seguire un nuovo progetto.

Jon Lord, per esempio, fondò il gruppo electric-blues Santa Barbara Machine Head (durato circa un anno) dei quali entrò a far parte anche il fratello di Art Wood, il celebre Ronnie Wood, oggi componente dei Rolling Stones.

Qui sotto, ecco uno dei tre pezzi strumentali scritti da Lord e registrati dal gruppo, Porcupine Juice.

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Gli album del 1979: Florian de Le Orme https://stonemusic.it/18532/le-orme/ https://stonemusic.it/18532/le-orme/#respond Fri, 08 Dec 2023 09:27:52 +0000 http://stonemusic.it/?p=18532 Mentre la PFM e il Banco si orientarono verso la forma canzone, Le Orme optarono per tornare alle…

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Mentre la PFM e il Banco si orientarono verso la forma canzone, Le Orme optarono per tornare alle proprie radici musicali

Un breve estratto dell’articolo di Gianluca De Rossi comparso su Prog 23, in edicola. 

Alla fine degli anni 70 il vento del cambiamento aveva spazzato via il rock progressivo in ogni parte del mondo, Italia compresa. Mentre la PFM e il Banco si orientarono verso la forma canzone, più semplice e abbordabile, Le Orme optarono invece per una soluzione più coraggiosa e originale: tornare alle proprie radici musicali, che, per il gruppo veneziano, significava la grande tradizione della Musica Classica Italiana.

Fu così che Toni Pagliuca abbandonò tastiere e sintetizzatori per perfezionare lo studio del pianoforte e del clavicembalo, mentre Aldo Tagliapietra si dedicò al violoncello, senza peraltro abbandonare le chitarre acustiche; Germano Serafin cominciò a studiare il violino e Michi Dei Rossi le percussioni orchestrali. Fu da questo studio che nacque l’idea di realizzare un disco interamente acustico, che prese il nome dal più antico e famoso caffè di piazza San Marco: il Caffè Florian.

L’album presenta sette tracce: la prima, la title-track, funge da introduzione programmatica, l’ultima, El Gran Senser, è invece dedicata alla tradizionale saggezza veneziana. Entrambe sono interamente strumentali.

Se Jaffa è una denuncia contro le implacabili e imperscrutabili esigenze del mercato, in nome delle quali ogni anno vengono mandate al macero tonnellate di frutta mentre nelle zone più povere del pianeta si fatica a rendere fertile la terra, Il mago e Calipso rappresentano una raffinata critica antiamericana. Pietro il pescatore ha come bersaglio il ruolo della Chiesa, che non riesce più a dare risposte ai problemi quotidiani dell’uomo.

Fine di un viaggio affronta metaforicamente la fine di un’epoca, grazie al ripescaggio del Mr. Tambourine Man di Bob Dylan, la cui “nave magica è un relitto ormai”, mentre il verso “le tue ombre inutili, nessuno segue più” è un chiaro riferimento alla droga, che ancora imperversava nel mondo dei giovani, e contro l’uso della quale Le Orme si erano già scagliate con il brano Vedi Amsterdam in VERITÀ NASCOSTE (1976)

L’articolo integrale su Prog 23 che si può acquistare qui.

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Gli album del 1979: Stormwatch (Jethro Tull) https://stonemusic.it/18628/1979-stormwatch-jethro-tull/ https://stonemusic.it/18628/1979-stormwatch-jethro-tull/#respond Wed, 29 Nov 2023 13:02:14 +0000 http://stonemusic.it/?p=18628 Il terzo capitolo della triilogia folk, l'ultimo album della formazione classica: Stormwatch dei JETHRO TULL.

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Tratto dall’articolo di Gianluca De Rossi comparso su Prog 23.

STORMWATCH è il tredicesimo album in studio dei Jethro Tull, con cui si chiude la cosiddetta trilogia folk iniziata con SONGS FROM THE WOOD nel 1977 e proseguita poi con HEAVY HORSES nel 1978.
Se questi primi due capitoli esprimevano una concezione positiva e gioiosa della natura, il terzo, invece, sembra presagire la vendetta della stessa sull’uomo che l’ha violentata. Il concetto viene chiaramente rappresentato nel retro della splendida copertina: un gigantesco orso polare distrugge una base petrolifera nei ghiacci, davanti allo sguardo preoccupato e impotente dell’avvista-tempeste, che sulla front cover ha le fattezze dello stesso Ian Anderson.

Al di là delle tematiche ecologiste, l’album rappresenta un punto di frattura nella storia della band, portando di lì a poco allo scioglimento della formazione classica. Il bassista John Glascock verrà a mancare pochi mesi dopo la
pubblicazione del disco a causa di una malformazione cardiaca congenita, ed è presente in tre sole tracce (Flying Dutchman, Orion, Elegy), mentre Barriemore Barlowe, John Evan e David Palmer lasceranno la band nel 1980 a seguito dell’uscita di A, concepito in origine come album solista di Anderson e poi invece pubblicato a nome Jethro Tull all’insaputa dei vecchi musicisti.

Per tutti questi motivi, l’atmosfera che si respira in STORMWATCH è quella di una storia bellissima dall’epilogo triste, l’inevitabile fine di un’era gloriosa, il che lo rende piacevolmente malinconico e terribilmente romantico allo stesso tempo.

Emblematici, a tal riguardo, i due brani più belli: l’epica Flying Dutchman, ispirata alla leggenda marinaresca dell’olandese volante, ed Elegy, composta da David Palmer sulla falsariga dell’Aria sulla IV corda di J.S. Bach. Da menzionare inoltre la cupa Dark Ages, la frenetica North Sea Oil, dallo sferzante testo ecologista, l’acustica Dun Ringill che prende il nome da un forte risalente all’Età del Ferro, situato nell’Isola di Skye, e la strumentale Warm Sporran, così orgogliosamente scozzese, arrangiata con cornamuse e mandolini.

L’articolo integrale su Prog 23 che si può acquistare qui.

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Quando Phil Collins dei GENESIS prestò la sua voce alla Disney https://stonemusic.it/35961/phil-collins-genesis-disney/ https://stonemusic.it/35961/phil-collins-genesis-disney/#respond Wed, 22 Nov 2023 09:00:37 +0000 https://stonemusic.it/?p=35961 "L'italiano è la lingua più facile, fatta per cantare". Così dichiarò Phil Collins, GENESIS, quando registrò le colonne sonore di due famosissimi film d'animazione.

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Per Phil Collins in particolare, batterista e cantante prodigio, i successi più grandi sono arrivati non tanto con la band, quanto da solista. Negli anni 80, Collins piazzò infatti al primo posto in classifica ben 7 singoli negli Stati Uniti e 3 nel Regno Unito: In the Air TonightAgainst All Odds (Take a Look at Me Now)One More NightSussudio e Another Day in Paradise, tanto per citarne qualcuno.

Artista dalle mille risorse, nel 1999 Phil Collins strinse una collaborazione destinata a fruttargli un enorme successo: non con una delle solite etichette discografiche, ma con la Walt Disney Records.

Per la Disney, Phil registrò la sua prima colonna sonora: quella del film Tarzan. Tarzan non era un film qualunque. La sua colonna sonora, infatti, fu la prima della Disney registrata in lingue diverse per i vari mercati. Phil Collins, su musica di Mark Mancina, non si limitò a cantare in inglese, lingua originale del film, ma anche in italiano, francese, tedesco e spagnolo.

Fu proprio Collins a insistere perché fosse sua la voce presente in tutte le versioni: un doppiaggio inaccurato, secondo lui, avrebbe pregiudicato la comprensione e l'atmosfera di tutto il film. 

La versione più famosa, comunque, resta quella inglese, di cui il tema portante, You’ll be my Heart, venne premiato con un Golden Globe e con un Oscar alla miglior canzone originale.

Indovinate qual è la lingua che Collins preferì e ama tuttora? Proprio la nostra.

L’italiano è la più facile, è fatta per cantare. L’importante è la pronuncia: se non sei chiaro i bambini non capiscono.

Così, quando la Disney, nel 2003, chiese all'ex Genesis di registrare la colonna sonora per il film Koda, fratello orso, Phil Collins non cantò solo in spagnolo, francese, tedesco e persino giapponese, ma si dilettò particolarmente a incidere anche un disco con tutte le canzoni in italiano.

Tutte tranne una.

Per voi ho inciso tutti i brani tranne Great Spirits: in inglese la canta Tina Turner. In italiano vorrei la cantasse Laura Pausini. La sua voce esprime purezza.

La richiesta di Phil non venne esaudita, e la canzone venne doppiata da Lalla Francia. Per il resto, potete sentire Collins, capace di emozionare grandi e piccini con un italiano perfetto.

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Il delirio organizzato: tre domande a Gianni Leone del Balletto di Bronzo https://stonemusic.it/19065/gianni-leone-balletto-di-bronzo/ https://stonemusic.it/19065/gianni-leone-balletto-di-bronzo/#respond Sat, 18 Nov 2023 12:57:46 +0000 http://stonemusic.it/?p=19065 Uno dei personaggi chiave del Prog in un'intervista mozzafiato a Gianni Leone del Balletto di Bronzo!

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Ancora e forse più di ieri, Gianni Leone è un divo. Lo è sia che cammini per la strada, ordini un piatto vegetariano al ristorante o si esibisca sul palco con un timbro, un’estensione vocale e una padronanza della voce che fanno venire i brividi, una incredibile bravura e sicurezza alle tastiere e con gli altri strumenti, e una teatralità ogni volta rinnovata, fatta di glam, abiti unici, trucco, invenzioni, movimenti e comunicazione col pubblico che va ai suoi concerti come si recasse a un rito

Un estratto dell’articolo di Susanna Schimperna comparso su Vinile 19

L’aggettivo che viene spontaneo accostargli è “esagerato”, e lui ne sorride citando Oscar Wilde: “L’arte, per se stessa, è una forma di esagerazione”.  Questo indiscusso maestro del prog non si fa certo spaventare dagli attacchi. Ci è abituato. Da sempre. "Le mie zie e mia madre mi raccontano che fin da bambino avevo la smania di sovvertir le regole. Volevo andare all’asilo con la biancheria sopra e il resto sotto, per provocare. È la mia natura. L’Italia era (ed è) repressiva e cattolica e altrettanto lo sono state la mia famiglia, soprattutto mio padre, e la scuola".

"Quando passai dal pianoforte classico ai gruppuscoli di dilettanti, avevo solo undici anni e già mi vestivo in modo particolare, ma esplose tutto dopo i quattordici: cercavo di imporre il mio modo di essere, e vestire come volevo io mi era indispensabile. Prendevo gli inchiostri colorati per tinteggiare le camicie tradizionali, andavo nei negozi d’arredamento a comprare velluti strani per farmi pantaloni con la vita bassissima, attillati fino al ginocchio e larghissimi fino alle caviglie".

Si favoleggia molto del periodo tra la metà degli anni 60 e la metà dei 70, che sono poi quelli che hanno visto la nascita del prog e del Balletto di Bronzo. Cosa rimpiangi di quei tempi?
È un periodo mitizzato, pieno di lati negativi. La tv aveva solo due canali in bianco e nero, con la tetraggine dei Tg, c’era l’austerity, la moda non era di moda, tutto quello che esulava dalla norma era trasgressivo, era difficile mantenere la tua identità, era una battaglia continua.

Ma quando incontravi qualcuno come te, non potevi sbagliare: era un lottatore che si era messo contro la famiglia, la società, tutti. Oggi però tutto sembra normale, e se quello era oscurantismo, repressione, questa è follia. All’epoca l’esperienza con la droga aveva una sua valenza, si pensava che aprisse la mente, amplificasse la creatività, c’erano i supporti culturali. Adesso c’è questo abominio dello sballo in un’età in cui noi giocavamo col trenino, ci si sballa e non si sogna nemmeno, è come prendere una martellata in testa e barcollare.

Io avevo tredici anni e nei gruppi in cui suonavo erano tutti di almeno due o tre anni più grandi di me, ed evidentemente erano persone giuste, perché feci questa esperienza nel modo più sereno e allegro immaginabile, aiutato anche dalla mia natura virginea a non restarne coinvolto, men che mai dipendente.

Tre anni di delirio, sesso, droga e rock & roll

Siamo nel 1971, il Balletto ha già pubblicato il 45 giri Neve calda e il 33 giri SIRIO 2222, con musica rock blues. Tu entri e andate a vivere in un casale a Rimini. Tre anni di delirio. Davvero sesso, droga e rock & roll. Solo? Di più. Eravamo proprio sfrenati. Più che altro io e il batterista, perché gli altri avevano ragazze fisse con cui convivevano, per esempio Lino Ajello aveva una fidanzata svedese che è poi diventata la prima di tre mogli, tutte svedesi perché a un certo punto lui si trasferì in Svezia. Dicono di liti tra noi, per niente. Siamo tuttora molto amici. Le povere fidanzate non si aspettavano quella bolgia, quindi malumori... giustificatissimi. Io avevo addosso donne e uomini, ma ero libero. Donne e uomini, sì, perché ero efebico non avevo nemmeno la barba.

Erano situazioni estreme, la normalità era l’eccesso. Una notte il batterista prese la nostra auto, quella che usavamo per gli spostamenti, e strafatto fece correndo come un pazzo tutto il lungomare, cappottò, lasciò lì la macchina. Si guidava senza patente, non ce l’aveva nemmeno lui. Quando tornò al casale nessuno disse niente, perché di episodi così ce n’erano continuamente. Storiacce, furti, si tornava dai concerti e nei letti si trovavano persone di ogni genere, non si pensava a mangiare né a dormire, bisognava farsi e suonare. Io ero molto giovane e stavo appena cominciando a capire che fosse il sesso, ma, come in tutto, una volta iniziato non vado piano ma a duemila, salvo poi capire a che punto è il mio equilibrio.

Così il delirio, seppure organizzato (come lo definisce bene Gianmaria Consiglio nel suo libro Il Balletto di Bronzo e l’idea del delirio organizzato, ed. Eclysse), mi stufò. Andò via prima il bassista Vito Manzari, poi Ajello. Rimasti soli, io e Gianchi (Giancarlo Stinga) cominciammo a raccattare musicisti ovunque per suonare, pure gli autostoppisti. Chiedevamo: dove vai? a Milano? hai la patente? sai suonare? salta su e guida, poi sentiamo come suoni. Incidemmo in due l’ultimo 45 del Balletto di Bronzo, Donna Vittoria, che ancora mi piace (ispirato alla moglie dell’allora Presidente della Repubblica Giovanni Leone) e La tua casa comoda, che era una canzone sciocchina, ma mi consentì di capire che potevo diventare solista, perché lì suonai tutto io, pure la batteria.

A marzo ’72 il Balletto di Bronzo registra il secondo album, YS, il cui brano omonimo è considerato da molti il capolavoro del prog. Perché i brani, tutti tuoi, sono firmati da una donna?
Ero un ragazzino, non iscritto alla Siae. Questa anziana signora napoletana, mai incontrata né allora né poi, mi fece allora da prestanome, con l’intesa che i diritti arrivassero tutti a lei ma ce ne avrebbe data una parte. Negli anni 90 mi arrivò voce che il Balletto fosse diventato famoso nel mondo, quindi mi caricai e chiamai la signora, dicendole che poteva tenersi i diritti ma avrei voluto vedere il mio nome sull’album. Trovai una persona gentile che in dialetto napoletano mi disse “Vabbe’ guagliò, aggio capito” e seguì il suggerimento della Siae per risolvere la faccenda: firmò un documento in cui si autoaccusava. Non servirono avvocati.

Mi riappropriai della paternità e ufficialmente, nel ’95, tornai con la formazione Il Balletto di Bronzo, tenendo a Terni, a ottobre, il primo concerto. Vidi gente arrivare da tutta Italia e mi sembrò un miracolo. Ancora più stupefacente quando fui chiamato negli Stati Uniti. Per anni non avevo fatto promozione, ignoravo che avessimo ancora tanto pubblico. All’estero eravamo accolti in modo pazzesco. Locali pieni, a Tokyo gente che veniva all’aeroporto col mio disco in mano. Una parte di me ne soffriva: dove eravate quando io negli anni 80 odiavo la musica e non toccavo nemmeno la tastiera?

L’intervista completa su Vinile 19.

 

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ELP – 50 anni di Brain Salad Surgery… e 5 storie assurde | PROG https://stonemusic.it/64688/elp-brain-salad-surgery-prog-51/ https://stonemusic.it/64688/elp-brain-salad-surgery-prog-51/#respond Thu, 16 Nov 2023 19:06:05 +0000 https://stonemusic.it/?p=64688 Alla celeberrima copertina del più audace album di ELP sono legate particolari vicende che coinvolgono a vario titolo i più diversi personaggi e situazioni.

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Di Leandro Cioffi (Emersonology FB Group)
Tratto dal prossimo numero di PROG, da domani in edicola e da subito disponibile su Sprea.it!

 

1. Keith Emerson, trasferitosi in California nella prima metà degli anni Novanta, acquistò una moto Harley-Davidson 1300 cc facendo dipingere sul serbatoio il quadro di Giger con lo strumento prediletto dal Maestro svizzero, ossia l’aerografo. Purtroppo nel settembre 2002 ignoti violarono il garage del suo appartamento a Santa Monica e, nonostante antifurto e lucchetti, la trafugarono come già era avvenuto nel 1983 alla mitica Norton lasciata per pochi attimi davanti a un pub di King’s Cross. Il valore della Harvey era di circa 60.000 dollari: “Certe cose fanno venire voglia di trasferirti in Alaska!”, dichiarò con grande dispiacere.

2. La cantante francese Mylène Farmer, affascinata dalla suggestiva immagine femminile ispirata dalla compagna di Giger, in occasione del suo tour a cavallo del millennio e in accordo con Giger stesso ne fece costruire una statua alta 11 metri, che si apriva in due (guarda caso), dalla quale fuoriusciva e sulle cui mani si esibiva. Per costruirla ci vollero sei mesi di lavoro e 150 operai, capitanati dal designer Guy-Claude François, con una spesa di 300.000 euro. L’introvabile statuina prodotta a corredo del doppio Cd live ha raggiunto quotazioni interessanti, mentre oggi alcune parti della grande Iside (secondo la definizione che ne dette la cantante) sono installate nei giardini della cittadina provenzale di Vaucluse. Quanti ELP fan avranno assistito a quel tour solo per vedere il palco?

3. Dal mondo dei distillati: la storica ditta Matter Spirit ha dedicato una pregiatissima versione del suo assenzio voluta dal connazionale Giger e recante sull’etichetta il citato ritratto di donna dell’album, confezione da 50 cl gradazione 68%. In alto i calici... ma con moderazione.

4. Il 31 agosto 2005 al Museo Tecnico Nazionale di Praga si concludeva la retrospettiva su H.R. Giger, apprezzata da circa 40.000 visitatori, che annoverava tra le opere i due dipinti di BRAIN SALAD SURGERY (il secondo dei quali concesso dalla proprietaria a cui Giger l’aveva donato). Durante il fine settimana tutte le opere vennero imballate e chiuse in una stanza per il successivo ritorno in Svizzera il 5 settembre, ma al momento di scaricarle dal TIR mancarono all’appello proprio le due della copertina ELP valutate circa 110.000 franchi. Un premio di 10.000 dollari fu fissato a chi avrebbe fornito notizie per il ritrovamento di entrambe più un fine settimana gratis con visita a Château St. Germain di Gruyères, sede del Giger Museum. Chissà se ora c’è qualcuno che ascolta l’album in poltrona, sorseggiando assenzio e contemplando i due quadri appesi in soggiorno...

5. Concludiamo in gioielleria: nel 2018 l’elvetica Strom, specializzata in preziose lavorazioni artigianali, ha presentato il sontuoso orologio da polso “Argentum HRG”, l’ultimo progetto dello stesso Giger che ne impose la vendita solo dopo l’avvenuta dipartita. In argento 925, resistente all’acqua fino a 50 m, costruito e rifinito interamente a mano, sfoggia come corona uno dei celebri teschi biomeccanici dell’artista, mentre il quadrante è una spettacolare riproduzione in rilievo della copertina di BRAIN SALAD SURGERY minuziosamente replicata in ogni più infinitesimo dettaglio eccezion fatta per il logo ELP, mancante della sezione inferiore forse per motivi di copyright. Il costo di ognuno dei 99 esemplari in cui è prodotto l’orologio è pari a 22.500 franchi svizzeri: è sempre “l’ora”... di BRAIN SALAD SURGERY!

…Tratto dall’ultimo numero di PROG, disponibile in edicola e online!

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Gli album del 1979: Fabrizio De André in concerto, arrangiamenti PFM vol. 1 e 2 https://stonemusic.it/18301/gli-album-del-1979-de-andre-pfm/ https://stonemusic.it/18301/gli-album-del-1979-de-andre-pfm/#respond Mon, 06 Nov 2023 13:49:23 +0000 http://stonemusic.it/?p=18301 La testimonianza di un tour indimenticabile, Fabrizio de Andrè e la PFM...

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Un breve estratto dell’articolo di Luca Benporath comparso su Prog 23, in edicola. 

Le cronache recitano che Faber andò a vedere la PFM durante il tour di PASSPARTÙ nell’estate del 1978 e rimase affascinato – anche se inizialmente titubante – dall’idea di essere accompagnato da quello che all’epoca era il gruppo italiano più conosciuto all’estero. In realtà De André ci aveva già provato quattro anni prima facendosi accompagnare dai New Trolls nel suo primo tour solista, ma in quella occasione la band si era limitata a eseguire i pezzi del cantautore genovese nella loro versione in studio.

Amico Fragile risulta una delle opere più grandi della musica cantautoriale

L’autunno del ’78 venne passato dalla band a dare un nuovo vestito ai brani di De André (il quale aveva appena pubblicato il fortunato RIMINI) e nel dicembre del 1978, appena prima di festeggiare il Natale, il tour partì. Chi scrive ha avuto l’enorme privilegio di assistere a un concerto di quel tour – nel pessimo Palalido di Milano – ma di esserne uscito affascinato da quella poesia che erano i pezzi di Faber. In origine, il live che viene tratto da quei concerti, registrato a Bologna e Firenze, doveva essere un singolo. Dopo il successo strepitoso viene deciso di pubblicare il secondo volume, che tuttavia non riesce a testimoniare l’intero show, mancando ovviamente i pezzi propri che la PFM eseguì durante lo spettacolo.

Per il resto c’è tutto: da Rimini e Zirighiltaggia agli evergreen Bocca di Rosa e La canzone di Marinella. Ma soprattutto c’è IL brano, quell’Amico fragile il cui assolo finale di Francone Mussida risulta una delle opere più grandi che la musica cantautoriale abbia mai potuto esprimere. Il tour, a causa di afonie varie di Faber, contestazioni continue (al PalaEur di Roma De André fu costretto a fermarsi e parlare con i contestatori per ristabilire la calma) e la cancellazione delle date in Sud Italia, durò poco più di un mese, terminando il 1° febbraio a Trieste dopo 29 esibizioni. Nel 2004, a 25 anni di distanza, ho avuto la fortuna di rivedere la “prima” della riproposizione da parte di Di Cioccio e compagni di quel tour, nello stesso teatro Tenda a Firenze dov’era stato registrato l’album live. I brividi, come nel 1979, li ho sentiti comunque, anche senza Faber.

 

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Joe Vescovi: il mago dell’Hammond https://stonemusic.it/18310/joe-vescovi-hammond/ https://stonemusic.it/18310/joe-vescovi-hammond/#respond Sun, 05 Nov 2023 09:54:26 +0000 http://stonemusic.it/?p=18310 Giuseppe “Joe” Vescovi, anima dei leggendari Trip, è stato senza ombra di dubbio uno dei più grandi tastieristi prog di tutti i tempi.

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Un estratto dell’articolo di Gianluca De Rossi  comparso su Prog 23

Joe Vescovi nasce a Savona il 1° gennaio del 1949. Alla fine degli anni 60, diventa il tastierista dei Trip, unendosi al bassista anglo-norvegese Arvid “Wegg” Andersen e al chitarrista inglese Billy Gray; con l’aggiunta del batterista piemontese Pino Sinnone, la prima line-up dei Trip è pronta a dar vita alla “musica impressionistica” del loro primo omonimo Lp (1970), frutto della commistione tra i vari generi in voga in quegli anni: beat, psichedelia, hard rock, blues.

Ma è con l’album successivo, CARONTE (1971), che il sound dei Trip giunge a maturazione e Vescovi diventa sempre di più il centro focale e propulsivo della band Dopo la sfortunata partecipazione alla manifestazione Controcanzonissima del gennaio del 1972, in cui i Trip subiscono il furto degli strumenti, Billy Gray lascia per intraprendere la carriera solista, seguito poco dopo da Pino Sinnone. A quel punto Vescovi e Andersen scelgono di continuare come trio, con l’aggiunta del giovane e talentuoso batterista torinese Furio Chirico, portando a compimento un percorso musicale sempre più articolato e complesso, che sfocerà nella genesi dell’album capolavoro dei Trip: ATLANTIDE (1972).

La formazione in trio mette Vescovi al centro della musica

La formazione triangolare, ispirata, come tante altre dell’epoca, agli Emerson Lake & Palmer, pone Vescovi ancor più al centro del discorso musicale; dalle sue tastiere, infatti, scaturiscono le trame che, attraverso le 8 tracce del disco, danno forma al concept dell’ascesa, splendore e distruzione del continente sommerso, attraverso l’uso sconsiderato dell’Energia ad opera del folle e tirannico Leader. Vescovi, tuttavia, usa essenzialmente due sole tastiere: l’inseparabile organo Hammond C3, utilizzato in tutta la gamma sonora già sperimentata in passato e perfezionata negli anni, compreso un pedale wha-wha (Ora X) e il Farfisa Professional Piano, con il quale disegna magistralmente sospesi paesaggi acquatici, oltre all’organo da chiesa (Analisi) e un generatore di frequenze per gli effetti sonori (Distruzione). Nonostante l’album sia un successo di pubblico e di critica, i Trip vengono abbandonati dalla RCA e realizzano l’album successivo, TIME OF CHANGE (1973), per la neonata Trident di Maurizio Salvadori.

La proposta musicale diventa ancora più difficile e d’avanguardia, presentando sulla prima facciata un unico lungo brano, Rhapsodia, in cui Vescovi da libero sfogo a tutto il suo talento compositivo ed esecutivo, arricchendo la sua strumentazione con il sintetizzatore e una tastiera per riprodurre la timbrica violini (anche se Joe riveler in un’intervista di aver supplito alla mancanza di una vera orchestra solo per motivi pratici ed economici).

Dopo lo scioglimento dei Trip, Vescovi si unisce prima agli Acqua Fragile (preferendo il complesso emiliano al Rovescio della Medaglia) e poi ai Dik Dik, con i quali collabora fino a tempi più recenti. Diventerà poi tastierista della band di Umberto Tozzi e fonderà in seguito i Tarrot, prendendo parte, insieme a Mussida e Di Cioccio della PFM, alla colonna sonora del film Attila flagello di Dio del 1982.

Dopo la reunion al Prog Exhibition del 2010 e la tournée in Giappone dell’anno successivo, Arvid Wegg Andersen muore il 31 marzo del 2012, seguito da Vescovi il 28 novembre 2014. Il testimone della musica dei Trip passa ora a Pino Sinnone, affinché la leggenda dei Trip sopravviva ancora e per sempre.

 

 

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Dewa Budjana: l’Indonesia non è così lontana https://stonemusic.it/18176/dewa-budjana-rock-indonesiano/ https://stonemusic.it/18176/dewa-budjana-rock-indonesiano/#respond Sun, 29 Oct 2023 14:00:06 +0000 http://stonemusic.it/?p=18176 Alla scoperta di un artista di culto della scena indonesiana, con il "vizietto" di farsi accompagnare da grandi musicisti...

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Alla scoperta di un artista di culto della scena indonesiana, con il "vizietto" di farsi accompagnare da grandi musicisti...

Un breve estratto dell’intervista di Luca Benporath comparsa su Prog 23, in edicola. 

Rock, fusion e jazz in Indonesia? Certo che sì! La scena musicale del lontano Paese asiatico è piuttosto attiva, ha anche un nutrito gruppo di band che hanno animato il sottobosco progressivo: Abbhama, Guruh, Badai, God Bless e Harry Roesli.

Il chitarrista Dewa Budjana ne è una delle figure di spicco da oltre 30 anni, riuscendo – con la sua band, Gigi, e da solista – a ritagliarsi un posto a livello internazionale, grazie al quale può oggi vantare collaborazioni con il “gotha” del rock e della fusion internazionale.  Ha pubblicato 11 album, alcuni davvero notevoli come ZENTUARY (2016) e HASTA KARMA (2015).

E un sopraffino musicista, capace di rielaborare in chiave originale e con grande stile l’eredità jazz- rock dei 70.  MAHANDINI è uscito qualche mese fa per la Moonjune Records, fondata da Leonardo Pavkovic nel 2001, e prosegue nell’azzeccato filone delle collaborazioni illustri: Marco Minnemann, Jordan Rudess, Mohini Dey, Mike Stern e John Frusciante, assente dalle scene musicali da qualche anno e che fa capolino in due brani.

Come hai iniziato a suonare la chitarra?
Ho iniziato a 11 anni quando vivevo nella mia città natale (Klungkung, nell’isola di Bali). Ho poi proseguito quando mi sono trasferito a Surabaja, nell’isola di Java, la seconda città indonesiana dove ho frequentato dapprima il liceo, durante il quale mi sono avvicinato alla musica prendendo lezioni di chitarra classica e apprendendo i primi rudimenti di lettura della musica.

A Surabaya ho suonato per la prima volta con un gruppo, quello della scuola, e per la prima volta ho suonato una chitarra elettrica. Più tardi mi sono spostato a Jacarta, la capitale, dove ho suonato con la mia prima band – Squirrel – che è stato anche l’inizio della mia carriera da professionista.

La band eseguiva materiale proprio e anche delle cover, un misto di jazz, fusion e rock. Le mie primissime influenze sono state Ritchie Blackmore e John Denver a livello compositivo. Più tardi mi sono affacciato ad altri stili che sono poi diventati fondamentali come John McLaughlin della Mahavishu Orchestra, Yes, Gentle Giant, ELP e più avanti Keith Jarrett, Jan Garbarek, Chick Corea, Allan Holdsworth, Bill Frisell, Jeff Beck, Pat Metheny, Ralph Towner e i Weather Report.

Cosa ti ha spinto a dedicarti a una carriera solista?
Prima di suonare con i Gigi sono stato con diversi gruppi di rock e pop fino al 1994, quando ho fondato Gigi insieme a degli amici. Eravamo tutti dei session men che desideravano comporre ed eseguire materiale proprio. In realtà la band è ancora attiva, non ha mai cessato di esistere.

Abbiamo suonato migliaia di concerti in Indonesia e all’estero (USA, Giappone, Corea del Sud, Singapore, Malesia, Hong Kong, Olanda...), abbiamo registrato oltre 25 album e quest’anno celebreremo il nostro 25° anniversario. La differenza con la mia carriera solista è che con Gigi compongo assieme agli altri dei pezzi di pop e rock, mentre quando sono da solo compongo riflettendo la mia unica personalità e privilegiando la musica strumentale.

Come definiresti la scena musicale in Indonesia oggi?
La scena musicale indonesiana è molto attiva. Lo è stata dai tempi della mia giovinezza e persino prima, negli anni Settanta. Non sono sicuro se il mio Paese possa essere comparato ad altri Paesi ma da noi c’è così tanta musica, tantissimi musicisti e moltissimo lavoro per tutti.

Non conosco musicisti che siano disoccupati! Siamo un Paese con parecchia cultura musicale, con gioia e felicità e questo si riflette nel modo di vivere e fare musica degli indonesiani. Siamo un popolo dalle diverse culture, diverse lingue con migliaia di etnie diverse. La scena musicale è molto attiva dalla parte ovest di Sumatra fino alla provincia di Papua ad est. Musica folkloristica, pop, rock, di tutto. Ma anche jazz e fusion sono molto popolari da diversi decenni qui.

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LE ORME: tre domande a Michi Dei Rossi https://stonemusic.it/16881/le-orme-michi-dei-rossi/ https://stonemusic.it/16881/le-orme-michi-dei-rossi/#respond Tue, 03 Oct 2023 11:00:52 +0000 http://stonemusic.it/?p=16881 Un estratto della nostra intervista al batterista Michi de Rossi, della leggendaria band prog LE ORME!

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Di Franco Vassia

SULLE ALI DI UN SOGNO racchiude una storia intera che sa di passato e profuma di futuro. Possiamo dire che ha anche l’aspetto di un omaggio musicale?
Inizialmente eravamo entrati in studio per produrre un album di canzoni inedite. Poi, quasi per caso, ci siamo accorti che quest’anno ricorre un fatto piuttosto particolare: il mio settantesimo compleanno! Ho quindi pensato di celebrarlo con un omaggio musicale e una scelta, rigorosamente personale, di canzoni che rispecchiano la mia storia, ma soprattutto il mio gusto artistico. Si parte con Collage (dall’omonimo album, 1971) – che ha come riferimento musicale la Sonata K380 di Scarlatti – e Preludio da CLASSIC ORME (2017)... poi Gioco di bimba (UOMO DI PEZZA, 1972), Notturno (CONTRAPPUNTI, 1974), La via della seta (dall’omonimo album del 2011), Verità nascoste (title-track del disco edito nel 1976). Seguono Amico di ieri (SMOGMAGICA, 1975), Canzone d’amore (45 giri del 1976), Sulle ali di un sogno (CLASSIC ORME). I due brani che non avevamo mai inciso sono Danza di primavera e Un altro cielo, elaborazione e arrangiamento dell’ Aria sulla Quarta corda di Johann Sebastian Bach.

...più di 50 anni di attività...
Nei quali si sono scritti fiumi di inchiostro su di noi. L’attività di un gruppo che, nonostante gli anni e i mutamenti musicali, continua il suo “sogno” senza concedersi un solo attimo di pausa. Il 2018 è stato particolarmente prolifico: abbiamo suonato in Giappone e in Messico. In primavera, inoltre, abbiamo fatto un tour italiano, molto gratificante, in compagnia del violinista inglese David Cross (King Crimson).

Oltre alla forma celebrativa qual è, nel disco, il valore aggiunto?
L'album valorizza al massimo le particolari melodie che, da sempre, hanno contraddistinto il nostro sound. Un disco pensato per i fan affezionati e per il pubblico più giovane, che, almeno fino ad ora, non si è ancora avvicinato a questa particolare miscela di generi: ponte fra le sonorità di matrice classica e la musica rock.

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La riedizione dello speciale PROG sui NEW TROLLS https://stonemusic.it/64199/new-trolls-2/ https://stonemusic.it/64199/new-trolls-2/#respond Tue, 19 Sep 2023 16:26:59 +0000 https://stonemusic.it/?p=64199 Da domani esce la riedizione dello speciale Prog dedicato ai NEW TROLLS! Leggi le parole di Michele Neri qui...

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È all’alba del nuovo millennio che tutto diventa imbarazzante: La storia dei New Trolls, New Trolls The Seven Season, The Seven Season, Il mito dei New Trolls, Ut New Trolls, sono solo alcune delle varie sigle che hanno caratterizzato una parte di carriera di uno dei più importanti complessi italiani di sempre, che definire confusa è davvero poco. Ma quello degli anni zero è un periodo che riguarda la scia di una cometa piuttosto che il nucleo, la coda di qualcosa che è stato luminoso ma che poteva abbagliare. I litigi e i dissapori che hanno portato a questa frammentazione nervosa e quasi isterica, sono antichi e mai sopiti, crepe profonde in amicizie a volte concrete e altre magari forzate.

E non importa chi ha iniziato e chi ha messo il carico da novanta. Non importa che ci siano state questioni economiche o di ego (o di entrambe le cose), nelle pagine che seguono troverete una storia dettagliata del gruppo e dei loro dischi e troverete interviste a molti dei protagonisti e ogni lettore farà le sue considerazioni. Ma ci sono vittime che sono facili da identificare. La prima è la musica italiana che probabilmente si è vista privare di opere magnifiche, di un’evoluzione artistica che poteva portare dischi di cui è difficile immaginare la bellezza, qualcosa che avrebbe portato la giusta sintesi tra la poesia di SENZA ORARIO E SENZA BANDIERA e il rock acerbo ma vibrante dei primi singoli, il proto hard rock di UT e la maestosità di SEARCHING FOR A LAND e alle sperimentazioni coraggiose dei Concerti Grossi. Sono ipotesi certo, per quanto suggestive restano tali.

Ma che il talento (ecco l’altra vittima, di mortificazione questa volta) fosse in dosi massicce dalle parti dei New Trolls, è abbastanza innegabile. Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo hanno forgiato il sound del complesso, Giorgio D’Adamo e Gianni Belleno ne hanno scolpito i contorni con la loro ritmica precisa e colorata. Ma gli innesti che sono arrivati, erano di pasta altrettanto pregiata: Maurizio Salvi, Ricky Belloni e Giorgio Usai per citare i più riconoscibili, con il primo soprattutto a portare una classe strumentale di prim’ordine con il suo pianoforte, le sue tastiere e le sue orchestrazioni. Non era facile far coesistere anime così piene di energia e personalità così delineate e non è un caso che i primi grandi distacchi siano nati in un momento difficile per l’intero Paese, con la crisi energetica e, di conseguenza, economica della prima metà degli anni Settanta a rendere quasi impossibile qualsiasi velleità artistica.

Però proprio in quel periodo sono usciti album di grande intensità, a partire dal doppio SEARCHING FOR A LAND per arrivare a CANTI D’INNOCENZA, CANTI D’ESPERIENZA e al primo Atomic System, agli Ibis e al divertissement da alta classifica di Satisfaction. Pazienza, non possiamo sapere cosa sarebbe successo ma possiamo riascoltare i classici del complesso, anzi dei tanti complessi, delle tante formazioni che cambiavano in continuazione con abbandoni e ritorni e ancora abbandoni. E che bello in fondo sia arrivato un disco intenso e intriso di dolcezza e persino di affetto come l’unico capitolo a firma Vittorio De Scalzi e Nico Di Palo. DUE DI NOI è uscito nel 2018 e chiude un cerchio, pieno di spigoli ma pur sempre un cerchio, con undici canzoni che rendono ancora più doloroso il pensiero di cosa poteva essere. Tre anni dopo Vittorio De Scalzi ha pubblicato un doppio in cui ripercorre, con la sua visione artistica, la sua avventura musicale, ma è questo disco in coppia che strappa una lacrimuccia e invoglia ad ascoltare Vittorio e Nico quando scorrazzavano nel pop, nel rock e nel prog assieme a Giorgio, Gianni, Maurizio, Ricky e Gil (come chiamavano Giorgio Usai agli esordi con i J.Plep). Questo disco va ascoltato al tramonto, perché è perfetto per quel momento. Magari pensando a Vittorio De Scalzi, che pochi giorni fa ci ha lasciati dopo un ultimo emozionante concerto d’addio…

- Michele Neri

 

…Continua su Prog Monografie Extra dedicato ai NEW TROLLS! Da questo mercoledì, in edicola e online

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NEW TROLLS: la loro storia attraverso i 45 giri https://stonemusic.it/64190/new-trolls-la-loro-storia-attraverso-i-45-giri/ https://stonemusic.it/64190/new-trolls-la-loro-storia-attraverso-i-45-giri/#respond Mon, 18 Sep 2023 16:44:57 +0000 https://stonemusic.it/?p=64190 Franco Brizi racconta la storia dei NEW TROLLS attraverso i loro 45 giri. Tratto dallo speciale Prog sui NEW TROLLS, da questo mercoledì in edicola e online!

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I Beatles sono stati la scintilla. A partire dal 1964, sull’onda imperante della “beatlesmania” in Inghilterra le band che suonano musica beat sono migliaia e il mercato si satura. Alcune di loro pensano bene di sbarcare nel Bel Paese scatenando la cosiddetta British Invasion. I Rokes, i Motowns, i Renegades, i Bad Boys, i Primitives, i Cyan Three, i Sorrows, diventano artefici di un fenomeno che si diffonde e si propaga su tutto il territorio nazionale anche grazie alla diffusione radiofonica che passa attraverso Bandiera gialla, trasmissione del secondo programma Rai condotta da Gianni Boncompagni e Renzo Arbore, e alcune testate giovanili come «Ciao Amici», «Giovani» e «Big» che consentono una larga operazione musicale, commerciale ed estetica. A dire il vero la maggior parte del repertorio dei complessi italiani nei Sessanta è caratterizzato da un ricalco delle canzoni d’Oltremanica, mentre due soli gruppi non sono mai scesi a compromessi, Le Orme e i New Trolls.

Questi ultimi sono di Genova e si costituiscono nel 1967 grazie a Vittorio De Scalzi (cantante e polistrumentista). Ancora prima, nel 1965 e appena sedicenne, Vittorio incontra Pino Scarpettini (piano e tastiere) e insieme formano i Goldfingers (nome preso dal titolo del film di James Bond) e poi i Trolls. Con la nuova denominazione che comprende Piero Darini (chitarra e voce), Giulio Menin (batteria) e Ugo Guido (basso), incidono il 45 giri Dietro la nebbia / Questa sera. Questa sarà l’unica incisione di Vittorio De Scalzi con i Trolls, i quali proseguono, senza fortuna, fino al 1969.

Di fatto dopo la partecipazione al Festival dei Complessi 1966 a Rapallo, Vittorio lascia il gruppo e debutta come solista con lo pseudonimo Napoleone e in un Lp realizzato dalla ARC intitolato VIETATO AI MAGGIORI DI POCHI ANNI, esegue Norwegian Wood dei Beatles e Take A Heart dei Sorrows. L’incontro tra De Scalzi e i futuri New Trolls avviene subito dopo: chiama il cantante/chitarrista Sergio Blandini, il tastierista Renato Rosset (che in seguito ritroveremo nel progetto New Trolls Atomic System), il bassista Giorgio D’Adamo (ex Terremoti) e il batterista Gianni Belleno (ex Jets, dal cui nucleo si formeranno i Ricchi e Poveri).

Questa formazione avrà però vita breve: il cantante chitarrista Nico Di Palo (ex Bats) e il tastierista Mauro Chiarugi (ex Skints) sostituiscono rispettivamente Sergio Blandini e Renato Rosset. In particolare, Di Palo è un chitarrista virtuoso ma è anche dotato di notevole estensione vocale verso i toni alti, divenendo da subito un pilastro della band. I New Trolls si rimboccano le maniche, suonano in molti locali e scrivono alcuni pezzi convincendo la Fonit Cetra a metterli sotto contratto. Frattanto la scena musicale cambia rapidamente e il beat segna il passo: nel 1967 i Beatles incidono SGT PEPPER’S, i Rolling Stones rispondono con THEIR SATANIC MAJESTIES REQUEST e Jimi Hendrix scuote le corde della sua chitarra con fare rivoluzionario. I New Trolls stanno al passo coi tempi e non è un caso che Francois Bonnier, entusiasta del loro sound, li scelga come uno dei gruppi spalla per la tournée italiana dei Rolling Stones dal 5 al 9 aprile del 1967…

 

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Intervista: LUIS BACALOV e i New Trolls https://stonemusic.it/64136/intervista-luis-bacalov-e-i-new-trolls/ https://stonemusic.it/64136/intervista-luis-bacalov-e-i-new-trolls/#respond Tue, 12 Sep 2023 18:21:29 +0000 https://stonemusic.it/?p=64136 LUIS BACALOV non apparteneva al mondo del Rock. Eppure il Rock ha regalato pagine memorabili, a partire dal Concerto Grosso. Ecco la nostra intervista direttamente dallo speciale sui NEW TROLLS, in edicola da questo venerdì!

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Intervista di Francesco Mirenzi

Di estrazione classica, LUIS BACALOV ha lavorato molti anni come arrangiatore e direttore d’orchestra per la RCA. In seguito si è dedicato alla composizione delle colonne sonore, realizzandone più di cento, tra le quali: La città delle donne di Federico Fellini, A ciascuno il suo di Elio Petri, Una storia d’amore e Quien sabe di Damiano Damiani, Una questione d’onore di Luigi Zampa. Come consulente musicale, ha curato la colonna sonora de Il Vangelo secondo Matteo di Pier Paolo Pasolini, che gli procurò una nomination per l’Oscar che, invece, ha conquistato con Il postino diretto da Michael Radford e Massimo Troisi. Proprio dalla colonna sonora di un film nasce la musica di CONCERTO GROSSO dei New Trolls (Cetra, 1971), una delle più riuscite fusioni fra musica classica e rock. Dopo quell’exploit, replicò l’esperimento con gli Osanna (MILANO CALIBRO 9 Fonit Cetra, 1972) e il Rovescio della Medaglia (CONTAMINAZIONE, RCA, 1973).

Può raccontarci il percorso che l’ha portata in Italia a collaborare con un gruppo rock?

Io sono nato in Argentina e faccio parte di una generazione dove frequentare vari generi di musica era la norma, non l’eccezione. Le ragioni erano tante. Prima di tutto per motivi economici. Se uno voleva affrancarsi dalla famiglia, il modo più veloce per guadagnare dei soldi era lavorare nella musica leggera. La necessità ha portato molti musicisti illustri dell’area colta a frequentare le musiche più semplici e popolari. Già da ragazzo mostravo un certo eclettismo. Avevo una grande curiosità che in America Latina – almeno per la mia generazione – era fortemente sviluppata fra gli artisti. Allora, studiare il pianoforte per fare una carriera da virtuoso e, allo stesso tempo, frequentare gli ambienti di jazz e lavorare nella musica leggera per guadagnarsi la vita, non era una cosa rara. Era soprattutto un atteggiamento di apertura, perché se lavorare nella musica leggera significava sopravvivere, a frequentare il jazz non si guadagnava niente. Se inizialmente l’elemento economico era il richiamo principale, dopo qualche anno, ho capito che era un’esperienza di vita molto importante lavorare per la musica popolare. Un arricchimento della personalità. Ho incorporato senza grossi traumi, a poco a poco, gli elementi delle musiche più svariate. Ho fatto un lungo percorso prima di riappacificarmi con questi vari mondi della musica, e adesso sono contento di aver trovato un modo mio di vivere e di comporre. Con buona pace per quell’idea aristocratica per cui esiste una certa musica alta e le altre, più o meno, basse. Ritengo che molte musiche scritte da fior di accademici siano molto basse, nel senso che sono musiche aride, che non hanno un’anima, non hanno interesse, salvo quello di sfoggiare un’erudizione. Mi va benissimo l’erudizione, ma non come forma di arte. Ho sempre avuto il sospetto che non fosse importante dal punto di vista artistico. Ora ne sono convinto. Ho vissuto i primi vent’anni della mia vita a Buenos Aires. In seguito, per varie circostanze mi sono trasferito in Colombia, dove sono rimasto per quasi quattro anni. Fu allora che ho deciso di trasferirmi in Europa. Nel 1956 era meno traumatico, meno difficile di oggi trovare lavoro come musicista in Europa. Sono stato a Parigi e in Spagna per un paio d’anni e subito ho trovato il modo di guadagnarmi la vita, scrivendo e realizzando degli arrangiamenti. Mi sono trasferito in Italia anzitutto per una questione di piacere. Inoltre, anche se avevo sempre lavorato, venivo da un’esperienza francese non esattamente facile per gli stranieri, in quanto era scoppiata la guerra di Algeria.

Come la accolse l’Italia?

In Italia si era in pieno boom economico e gli stranieri venivano accettati senza problemi, anche perché erano pochi. Allora non c’era paura, non c’era stata l’immigrazione massiccia delle popolazioni del Terzo Mondo. Era un Paese amabile, anche se dopo lo è stato sempre meno, perché l’Italia, per certi versi, è cambiata in peggio. Comunque, era un Paese dove si viveva bene. Il contatto con la gente era facile. Inoltre, in Argentina l’influenza italiana era molto forte. Per cui, quando sono arrivato mi sono sentito a casa mia dal secondo giorno. Non ho avuto nessuna difficoltà di ambientamento. Poco tempo dopo, cominciai a comporre i primi arrangiamenti per la RCA nel momento del superboom discografico. Un’esplosione che dipendeva direttamente dalla grande diffusione degli elettrodomestici che in quel momento investiva l’Italia. Le case si riempivano di frigoriferi, di ventilatori e anche di mangiadischi e giradischi. Sin dagli inizi degli anni Sessanta, nella RCA ero molto attivo. Mi capitò di collaborare con molti cantanti, tra cui Gino Paoli, Luigi Tenco, Modugno, la Pavone e Sergio Endrigo, con il quale sono diventato molto amico – dagli inizi degli anni 60 fino alla metà degli anni 70 abbiamo lavorato sempre insieme. Fino all’ultimo disco che, purtroppo, segnò per lui un certo declino e – cosa che mi dispiacque molto – non riuscì più ad avere l’accettazione del pubblico. Ho scritto molte canzoni con lui. Inoltre si era formato un gruppo, nel quale collaboravamo entrambi, che si occupava delle canzoni per bambini. C’erano Vinicio De Moraes, Chico Buarque de Hollanda, Toquinho, Sergio Bardotti. Tutta una serie di persone che stando nel campo della musica leggera, in qualche modo, volevano produrre delle canzoni per bambini che, tengo a precisare, sono tutte molto intelligenti. A dispetto della maggior parte delle canzoni composte per loro, che sembrano scritte per bambini scemi. Fu un’esperienza molto divertente.

In seguito, ho lasciato la RCA e ho lavorato poco come arrangiatore, perché è un lavoro piuttosto duro. Bisogna sempre inseguire le mode, essere al corrente di tutte le novità. Gli arrangiamenti vengono visti come un qualcosa  di essenziale per la riuscita commerciale di un brano. Un lavoro in cui ci sono sempre tensioni, nonostante lo svolgessi con grande passione. Inoltre, la musica stava cambiando. In quello che viene definito rock progressivo c’era, soprattutto, una maggiore presenza di parti strumentali. Non erano solo canzoni ma qualcosa di diverso…

…continua sullo speciale Prog dedicato ai NEW TROLLS, da venerdì in edicola e online!

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SUSPIRIA: la colonna sonora originale, capolavoro dei Goblin https://stonemusic.it/14163/goblin/ https://stonemusic.it/14163/goblin/#respond Thu, 07 Sep 2023 16:00:39 +0000 http://stonemusic.it/?p=14163 A più di quarant'anni da Suspiria, la colonna sonora dei Goblin rimane un capolavoro assoluto della musica.

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Tanto tempo è trascorso dal 27 aprile 1977, quando i Goblin, ormai popolarissimi dopo PROFONDO ROSSO, pubblicarono SUSPIRIA. Il rifacimento del popolare film di Dario Argento ha portato in dote anche una nuova colonna sonora. Ma, come le immagini in movimento di Luca Guadagnino poco c’entrano con la pellicola degli anni 70, anche i suoni realizzati da Thom Yorke, mente dei Radiohead, non hanno praticamente nulla in comune con il capolavoro dei Goblin. Quale dei due commenti sonori è migliore? Noi siamo di parte e nonostante la musica del nuovo doppio album, che va oltre la colonna sonora, non ci dispiaccia affatto, la risposta è scontata: la soundtrack di SUSPIRIA è una sola... quella dei GOBLIN!!!

All’indomani del successo clamoroso di Profondo rosso, e si parla sia del film che della colonna sonora, il problema più grande che si presentava a Dario Argento, come a tutti coloro che realizzano un capolavoro, era quello di ripetersi, se non di superarsi. Da un viaggio in Germania con Daria Nicolodi, la sua compagna di allora, nacque lo spunto per un film che sarebbe dovuto essere diverso, non più il solito thriller, ma un viaggio nel mondo del magico e dell’occulto.

Ne scaturì il racconto più visionario e diabolico di Argento, il primo di una tanto discussa quanto amata trilogia delle Tre Madri, che include INFERNO del 1978 (colonna sonora di Keith Emerson) e LA TERZA MADRE del 2007 (musiche di Claudio Simonetti). La fotografia coloratissima (curata da Luciano Tovoli) nelle intenzioni del regista doveva ricordare la strega disneyana di Biancaneve, che tanti bambini, tra cui il piccolo Dario, aveva impressionato. Anche le allieve della scuola di ballo di Friburgo sarebbero dovute essere delle adolescenti, ma la cosa non fu possibile per motivi di censura, per cui si ripiegò su attrici dal volto di bambina (Jessica Harper) e persino posizionando più in alto del normale le maniglie delle porte, per far apparire le ragazze più piccole di quanto non fossero in realtà.

Per quanto riguarda la musica, impossibile non riaffidarsi ai Goblin, dato l’ottimo lavoro svolto e il successo della collaborazione nel film precedente.

Stavolta, però, la presenza dello stesso Argento divenne ancor più determinante, quando, presente alle prove, cercava di spiegare ai quattro folletti l’obiettivo che voleva esattamente raggiungere. Non si trattava più di una semplice colonna sonora, ma la Musica doveva diventare protagonista tanto quanto le immagini stesse, se non addirittura di più; doveva attanagliarsi alla gola dello spettatore e togliergli il respiro fino a portarlo a raggiungere lo stadio del puro PANICO. Oltre a un volume quasi assordante a cui fu portato il suono in fase di montaggio, ogni accorgimento serviva a raggiungere l’efficacia massima di colpire l’attenzione: la connessione tra gli strumenti rock tradizionali e la strumentazione etnica doveva riprodurre le atmosfere mistiche in cui si muoveva il film.

Se Massimo Morante ritagliò intricati e dissonanti arpeggi al mandolino greco, il bouzouki (acquistato proprio durante una sua vacanza in Grecia), Fabio Pignatelli sostituiva il suo basso elettrico con i bassi profondi della tabla indiana, mentre Agostino Marangolo si produceva in uno sforzo multicolore con ogni sorta di percussione: campane tubulari, timpani sinfonici, glockenspiel, campanacci, timbales, windchimes etc. Claudio Simonetti, dal canto suo, sfruttava fino al limite e oltre i mezzi di cui disponeva all’epoca, niente campionatori, ma il Mellotron con i cori infernali di Witch e l’organo da chiesa di Sighs, il suono magico e ancestrale della celesta sull’arpeggio della title-track, l’avveniristico (per quei tempi) sequencer Moog System 55, che impazziva durante la paranoica Markos.

Anche le voci vennero utilizzate al massimo con il famigerato cantato rauco di Simonetti su Suspiria (peccato che la filastrocca delle tre streghe sull’albero sia in inglese, lingua poco alchemica) e i cori mutevoli e multiformi di Sighs, in cui, in un crescendo angoscioso, sembra davvero che si spalanchi l’abisso dell’Inferno sulla Terra. Forse non esageriamo se concludiamo con il dire che nessuno, prima e dopo dei Goblin con questo disco, ha mai fatto vibrare le corde più profonde della paura e dell’angoscia nella mente e nel cuore di chi ascolta. Un capolavoro assoluto della musica da scoprire e riscoprire mille e più volte.

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Come si chiama la mucca dei PINK FLOYD? https://stonemusic.it/63884/pink-floyd/ https://stonemusic.it/63884/pink-floyd/#respond Fri, 11 Aug 2023 16:43:03 +0000 https://stonemusic.it/?p=63884 Quale idea assurda c’è dietro la copertina di Atom Heart Mother, dei PINK FLOYD - ma soprattutto, perchè proprio una mucca?

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L'idea per la copertina di ATOM HEART MOTHER, divenuta celebre in tutto il mondo, nacque in seguito a una breve conversazione tra i Pink Floyd e i grafici della Hipgnosis, nell’estate del 1970. “I Floyd ci hanno detto che volevano qualcosa di non psichedelico”, ricorda il cofondatore della Hipgnosis, Storm Thorgerson. La Hipgnosis in precedenza aveva creato una serie di spirali cosmiche intrecciate per la copertina di A SAUCERFUL OF SECRETS e un’immagine nell’immagine per quella di UMMAGUMMA. Era tempo di cambiare.

“Volevo realizzare una non-copertina con un non-titolo e un non-concept album; qualcosa di diverso dalle altre copertine”, ha spiegato Thorgerson, sebbene fosse stato un amico di Storm, l’artista concettuale John Blake, a suggerire l’idea della mucca: “Credeva che fosse la cosa più lontana dalla psichedelia sulla faccia della terra”. La Hipgnosis fotografò la Frisona Lullubelle III e altri membri della sua mandria nel campo di un agricoltore a Potter Bar nell’Hertfordshire. La Hipgnosis propose ai Pink Floyd tre immagini: la mucca, una donna che entra da una porta e un uomo che si tuffa nell’acqua girato al contrario. Ma quando Roger Waters vide la mucca, scoppiò a ridere. La scelta avvenne in quel momento. Tuttavia, vendere l’idea alla EMI sembrava un’impresa più ardua. “La sezione che si occupava della grafica della EMI ci odiava”, ha detto Thorgerson. Dopo che gli mostrammo la copertina con la foto di una mucca ma senza il nome della band e il titolo del disco, ci odiarono ancora di più. “Ci accusarono di voler far fallire l’azienda. Ma i Pink Floyd ci sostennero fino in fondo”.

La presenza della mucca in copertina e le informazioni mancanti non impedirono al disco di avere un grande successo. Anzi, ATOM HEART MOTHER raggiunse la prima posizione in Gran Bretagna ed entrò nella Top 5 in Francia e in Olanda. In seguito (non si butta mai niente) la Hipgnosis riciclò l’immagine della donna che entra dalla porta per il disco del 1971 dei Principal Edwards Magic Theatre, THE ASMOTO RUNNING BAND, prodotto da Mason. L’immagine del tuffatore venne invece utilizzata sull’album del gruppo hard rock Def Leppard, HIGH’N’DRY, del 1981.

 

… continua sull’ultimo numero di Classic Rock n.127! Disponibile online e nelle migliori edicole.

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L’importanza di STORIA DI UN MINUTO, PFM | PROG GRANDI GLORIE https://stonemusic.it/63826/pfm-prog-grandi-glorie/ https://stonemusic.it/63826/pfm-prog-grandi-glorie/#respond Sat, 05 Aug 2023 11:05:21 +0000 https://stonemusic.it/?p=63826 STORIA DI UN MINUTO, primo lavoro “adulto” della PFM, nonostante i 50 anni trascorsi dalla pubblicazione (gennaio 1972), rimane uno degli album più amati nella storia del PROG.

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Una carriera lunghissima, ancora lontana dalla conclusione, e una marea di album venduti in tutto il mondo hanno reso la PFM una delle band più amate di sempre. Il loro suono è riconoscibile, sia pure con le sfumature dei diversi periodi, contemporaneamente sofisticato e immediato, oltre il progressive rock delle origini. Per loro bisogna parlare di PFM sound, capace di rimanere originale pur cambiando componenti e approccio. La discografia è artisticamente corposa, poi, come per tutti i gruppi che hanno attraversato i decenni, ognuno ha i propri momenti preferiti e sicuramente STORIA DI UN MINUTO è uno dei più gettonati… La Sony ha inserito STORIA DI UN MINUTO nella collana in vinile Italian Prog Rewind. L’album, versione Remastered 24-bit/192kHz from original master tapes, vinile colorato splatter, è già disponibile.

Che palestra le cover, Battisti e il resto!


Ricorda Franz Di Cioccio: “Ovviamente per allenarci, eseguivamo anche le cover e capivamo di essere bravi ma avvertivamo che parte del nostro talento era sprecato in Italia. Ricordo questa sensazione anche con I Quelli: praticamente, suonavamo in almeno otto dei primi dieci 45 giri in classifica, come musicisti da studio ma cercando di metterci del nostro, però nessuno lo sapeva e poteva rendersi conto della nostra bravura. Quando, invece, incidevamo dischi come I Quelli ci spettavano sempre le cover ‘scrause’, non potevamo decidere noi. Al Cantagiro 1969 presentammo Dici, una canzone talmente brutta che mi ha spinto a dimenticare anche di chi fosse la versione originale [Dizzy, 45 giri di successo, sempre del 1969, dell’americano Tommy Roe... in effetti Franz ha ragione da vendere rispetto alla bruttezza e all’inadeguatezza del brano per I Quelli, nda]. Ricordo che un’altra volta ci toccò l’orribile I’m A Tiger, incisa da Lulu nel 1968. Purtroppo non contava la bravura per farsi assegnare delle buone canzoni da interpretare. L’unico che scriveva dei brani sempre formidabili era Lucio Battisti. Su quelli potevi inventare dei tempi strani, fare dei contrappunti... quando su Dieci ragazze arriva il verso ‘Vorrei sapere chi ha detto’... (batte il tempo)... quel pum pum conta nell’arrangiamento... la gente l’aspettava, era un punto di riferimento. Come anche Acqua azzurra acqua chiara (ribatte il tempo): ci sono i tamburi dietro, senti proprio l’acqua che ti arriva addosso. In La canzone del sole, dove canta ‘O mare nero, o mare nero, o mare ne... tu eri chiaro e trasparente come me’, c’era il piatto, che io chiudevo alla Carmine Appice [uno dei batteristi più apprezzati nel passaggio dagli anni 60 ai 70: Vanilla Fudge, Cactus, Beck-Bogert-Appice, nda]... ssshhh... e sembrava il suono della risacca. Collaborai con Lucio negli anni d’oro, dove suonai in ogni suo disco. Fu bello lavorare così: mi permise di eseguire quello che volevo perché era un artista intelligente e diverso”.

Lo stress del turnista?

La nascita della PFM è da ricondurre anche alla voglia dei Quelli di non suonare più cover e smettere di fare i turnisti quasi a tempo pieno. D’altronde la situazione dei musicisti al servizio di studi di registrazione e case discografiche negli anni 60 è simile ovunque. Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, vive la stessa situazione e nel 1975 la racconta a un giovane Cameron Crowe, giornalista di «Rolling Stone», mensile musicale statunitense: “Per alcuni lavorare come session man è il massimo che si possa desiderare. Io ho rinunciato per entrare negli Yardbirds, guadagnando un terzo, perché volevo suonare. Stavo diventando una di quelle persone che odio. Alcune session erano un vero piacere ma non sapevo mai cosa avrei suonato e con chi”. Parole condivise da Di Cioccio, che conferma: “Inizialmente sei gasato nel suonare continuamente in studio per altri artisti, poi inizia a non essere più così divertente e hai bisogno di fare musica tua”…

…continua sulla rivista Le Grandi Glorie del PROG ITALIANO, in edicola e online!

Lo stress del turnista?

La nascita della PFM è da ricondurre anche alla voglia dei Quelli di non suonare più cover e smettere di fare i turnisti quasi a tempo pieno. D’altronde la situazione dei musicisti al servizio di studi di registrazione e case discografiche negli anni 60 è simile ovunque. Jimmy Page, chitarrista dei Led Zeppelin, vive la stessa situazione e nel 1975 la racconta a un giovane Cameron Crowe, giornalista di «Rolling Stone», mensile musicale statunitense: “Per alcuni lavorare come session man è il massimo che si possa desiderare. Io ho rinunciato per entrare negli Yardbirds, guadagnando un terzo, perché volevo suonare. Stavo diventando una di quelle persone che odio. Alcune session erano un vero piacere ma non sapevo mai cosa avrei suonato e con chi”. Parole condivise da Di Cioccio, che conferma: “Inizialmente sei gasato nel suonare continuamente in studio per altri artisti, poi inizia a non essere più così divertente e hai bisogno di fare musica tua”…

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I migliori 100 album del 1973 | PROG n.49 https://stonemusic.it/63760/i-migliori-100-album-del-1973-prog-n-49/ https://stonemusic.it/63760/i-migliori-100-album-del-1973-prog-n-49/#respond Sat, 29 Jul 2023 12:49:27 +0000 https://stonemusic.it/?p=63760 Il 1973 è l’anno in cui i codici della musica PROG iniziano a complicarsi e differenziarsi, per questo la nostra rivista ha ripercorso e recensito quei 100 album che hanno fatto la storia.

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ACQUA FRAGILE - Acqua Fragile

L’esordio degli Acqua Fragile lasciava prevedere un percorso interessante, che poteva dare frutti succulenti in un contesto contaminato, sospeso tra profumi progressivi britannici e armonie più vicine alla West Coast statunitense. Invece solo un altro album, MASS MEDIA STARS (1974) e poi
lo scioglimento con l’ingresso di Bernardo Lanzetti nella PFM. Un’apparente svolta che artisticamente avrebbe potuto dare molto al cantante e al gruppo, ma la magia tra le parti non è mai scoccata, anzi quella iniziale si è bruciata in poco tempo. Con il senno del poi forse sarebbe stato meglio che Bernardo fosse andato avanti con la sua band. Il suono e la produzione di ACQUA FRAGILE sono eccellenti, in particolare per un gruppo esordiente, però basta leggere

i nomi del tecnico del suono, Gaetano Ria, e del produttore, Claudio Fabi, per capire che in quel momento era una coppia vincente, non solo in campo progressivo (insieme avevano realizzato STORIA  DI UN MINUTO e PER UN AMICO della PFM). Morning Comes: brano
ricco di melodia, supportata da un efficace arpeggio chitarristico di Lanzetti, molti l’avvicinano ai Genesis, forse per la parte vocale, mentre a me evoca l’atmosfera della West Coast, anche se indubbiamente quando sale il ritmo il mondo prog si apre in tutta la sua magnificenza. Comic Strips: tastiere e chitarre incrociano la rotta per un dialogo serrato che ricorda Family e i primi Gentle Giant. Education Story è uno dei migliori brani dell’album, decisamente prog sinfonico senza tentennamenti, cantato splendidamente, persino con echi da musical, e suonato
con espressiva forza evocativa, travolgente l’efficace passaggio dal 4/4 al 7/4. Three Hands Man: un caleidoscopio di colori, parti che si rincorrono e si connettono al meglio del rock sinfonico, parte vocale ancora di alto livello e musica resa con efficacia da musicisti che probabilmente suonavano tutti i giorni tutto il giorno! Going Out e Science Fiction Suite? Altri due brani, con le chitarre acustiche e le armonie vocali in odor CSN&Y, che lasciano capire quanto gli Acqua Fragile avrebbero meritato un posto di prima fila nell’universo musicale degli anni Settanta. È un album di alto livello ancora oggi.

PERIGEO - Abbiamo tutti un blues da piangere

Si tratta del secondo Lp del Perigeo, che arriva dopo un masterpiece come AZIMUT. Mica facile anche solo replicare tale qualità. Eppure sin dalla copertina, che evoca una musica già oltre il jazz-rock da cui il progetto partiva, si capisce che il gruppo sta spiccando il volo. Il fantastico dipinto del pittore romano Dario Campanile è inseparabile dalla musica, come capitava spesso negli anni Settanta, sempre di meno oggi perché sono cambiati i parametri per stabilire l’importanza delle cose. Eppure quel dipinto surrealista nasce nel 1971 e solo nel 1972 Dario lo invia alla RCA Italiana in visione come possibile copertina di “qualcosa”. Poi si dice che il destino non esista! In ABBIAMO TUTTI... gli elementi mediterranei s’integrano perfettamente con i colori del jazz-blues atipico del gruppo, sfumato nella libertà di quel codice che si va costruendo, non solo in Italia. Il suo mondo non ha eguali, svincolato persino dai grandi padri dell’elettrificazione nel jazz. La formazione ha una profondità espressiva, compositiva e d’intenti pazzesca, davvero in grado di fregarsene dei paletti stilistici e proporre ciò che gli sembra adeguato. D’altronde stiamo parlando di musicisti come Giovanni Tommaso (voce, basso, contrabbasso), Claudio Fasoli (sassofono alto e soprano), Franco D’Andrea (pianoforte acustico ed elettrico, tastiere), Tony Sidney (chitarra), Bruno Biriaco (batteria, percussioni). Il Perigeo con lavori come questo aiuta molto il jazz, pur nella sua visione poco ortodossa. Affascina e attira tanti appassionati non jazz,
che riconoscono connotati a loro familiari, come la chitarra elettrica spinta dai groove tipici del rock. Nello stesso tempo l’informalità del Perigeo li spiazza un po’. La title-track, apparentemente esile ma emotivamente profonda, nasce da Tommaso che arpeggia lentamente al pianoforte... re minore, do, si bemolle, re o la, tutto su un pedale di re. Lo ispira molto e prova a cantarci sopra un tema, in pochissimo il pezzo è compiuto. Le parole di Giovanni: “Lo scrissi subito per non dimenticarlo. È quasi incredibile che un brano così semplice sia diventato il più ascoltato del nostro repertorio”. Caro Giovanni, niente è incredibile quando si riesce a toccare il cuore della gente con una musica “alta e altra”.

TRAFFIC - On the Road

Della storia del rock la maggior parte dei gruppi sono stati legati a una figura artistica in particolare, come anche i Traffic, inevitabilmente sovrapposti al genio di Steve Winwood: magico vocalist, compositore di livello assoluto, pianista/tastierista dallo stile estremamente espressivo e chitarrista sobrio ma efficace. Mica male per un ragazzo di Birmingham, classe 1948, che con lo Spencer Davis Group aveva inciso il primo album a 17 anni e a 18 il singolo Gimme Some Loving, icona del soul bianco. ON THE ROAD (ottobre) è il secondo live dei Traffic, diverso in parte dei musicisti e nell’atmosfera dal ruvido e frettoloso WELCOME TO THE CANTEEN del 1971, dove il suono era piuttosto intimo e incasinato, come una rimpatriata tra vecchi amici, con nessun brano dal capolavoro JOHN BARLEYCORN MUST DIE (1970). Il doppio ON
THE ROAD non ha canzoni in comune con WELCOME e scaletta decisamente compatta, suonata con più respiro e padronanza tecnica, nonostante in quel tour primaverile del 1973 i Traffic

fossero sull’orlo del precipizio (problemi di droghe per Chris Wood e Winwood, con Steve anche in forte esaurimento nervoso, musicisti americani preparatissimi ma decisamente poco coinvolti nella musica). I concerti italiani di fine marzo 1973 (album registrato in Germania ad aprile) dimostrarono come i Traffic riuscissero a sopperire a queste forti dinamiche distruttive
con la classe cristallina del proprio leader e con la vitalità “operaia” di Jim Capaldi, che sul palco era l’unico a dialogare col pubblico. Settantacinque minuti suddivisi in sei tracce, dove la visione progressiva è obliqua, mai diretta, passando dal soul-blues al jazz, con lunghe divagazioni strumentali che avvolgono l’ascoltatore fino allo sfinimento. La suite iniziale abbina la strumentale Glad, eseguita a 100 all’ora, con la struggente Freedom Rider, entrambe da JOHN BARLEYCORN, e fa capire come il gruppo potrebbe arrivare in cielo se solo volesse, invece che sprofondare all’inferno... poi, nonostante ci siano altre perle, si potrebbe anche chiudere il discorso, questi magici 20 minuti basterebbero per l’acquisto. Un live strepitoso, poi nel 1974 arrivò lo splendido WHEN THE EAGLE FLIES e poco dopo i Traffic deflagrarono...

…Scopri tutti i 100 album nell’ultimo numero di Prog, in edicola e online!

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IL CERCHIO D’ORO nel mondo di Pangea https://stonemusic.it/63613/il-cerchio-doro-nel-mondo-di-pangea/ https://stonemusic.it/63613/il-cerchio-doro-nel-mondo-di-pangea/#respond Wed, 12 Jul 2023 17:44:48 +0000 https://stonemusic.it/?p=63613 “Pangea e le Tre Lune” è la chiusura del lungo percorso intrapreso dal gruppo ligure IL CERCHIO D’ORO verso i quattro elementi della tradizione ellenica.

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La band nasce negli anni Settanta, pubblica tre singoli, poi si separa e solo nel 1999 la Mellow Record realizza il primo album omonimo, che assembla registrazioni del 1976 e i sei brani dei singoli. Segue un altro lavoro di “recupero” di antico materiale, LA QUADRATURA DEL CERCHIO (Psych-Out Records, 2005), poi il nuovo corso con IL VIAGGIO DI COLOMBO (2008), DEDALO E ICARO (2013), IL FUOCO SOTTO LA CENERE (2017) e PANGEA E LE TRE LUNE. Gli ultimi quattro lavori sono stati pubblicati dalla Black Widow Records.

 

Prima di planare nel regno di Pangea, vogliamo ripassare un po’ della vostra storia?


GT: Il Cerchio d’Oro nasce nei primi anni Settanta a Savona, in un periodo in cui erano in atto brulicanti e straordinari fermenti musicali. Tutti noi eravamo infatuati dalla musica di allora, proposta da Trip, New Trolls, Formula 3, Le Orme, Nuova Idea, Banco del Mutuo Soccorso. Non ci perdevamo un solo concerto, che fosse di Osanna, Premiata Forneria Marconi o Atomic Rooster. Avevamo concetti e ideali talmente irrinunciabili al punto da rifiutare un invito – nel 1978 – al Festival di Sanremo. Come diceva Bob Dylan, i tempi purtroppo stavano cambiando e, con la disco music, era stata sdoganata una deriva smaccatamente commerciale. Ci sciogliemmo a malincuore per poi riformarci molti anni dopo, quando la Black Widow ci propose di entrare in sala d’incisione. Proprio per caratteristica di aver sempre dato spazio ad altre voci, Il Cerchio d’Oro più che un gruppo è una specie di laboratorio artigianale nel quale sono via via intervenuti anche musicisti storici quali Pino Sinnone (Trip), Giorgio “Fico” Piazza (PFM), Ettore Vigo (Delirium), Martin Grice (Delirium), Giorgio Usai (Nuova Idea, New Trolls), Paolo Siani (Nuova Idea) e Pino Ballarini (Rovescio della Medaglia). In PANGEA E LE TRE LUNE sono presenti Donald Lax al violino (Quella Vecchia Locanda), brillantemente sostituito nei live da Luca Pesenti, Ricky Belloni (Nuova Idea) e Tolo Marton (Le Orme) alle chitarre.

FP: Nell’incidere un album credo sia necessario dare il giusto valore ai testi, mente spesso succede l’esatto contrario. Così, come accadeva agli albori del progressive rock, una delle nostre maggiori ambizioni è stata quella di realizzare dei concept, delle storie tematiche. Lo è stato per IL VIAGGIO DI COLOMBO, DEDALO E ICARO e per IL FUOCO SOTTO LA CENERE, anche se in quest’ultimo abbiamo cercato di allargare il nostro orizzonte con piccole storie di fuoco e di passione, comprese le paure dell’essere umano. Il nuovo disco è invece la chiusura di un percorso intrapreso verso i quattro elementi della natura. Con l’idea di partire dalle origini del pianeta ci restava soltanto la Terra, quando ancora era mescolata in quell’insieme unico chiamato Pangea. Affidammo così l’idea a Giuseppe “Pino” Paolino, il nostro storico paroliere: il risultato ottenuto è stato quello di una nuova fiaba, dove il racconto è cesellato sulla falsariga della realtà. Nell’immensità dello spazio che oggi avvolge il nostro pianeta c’erano tre lune, diverse sia come dimensione, aspetto e colore. Nell’immaginario collettivo abbiamo ipotizzato che, così come è sempre stata la storia del mondo, anche tra loro ci fosse un conflitto insanabile per la supremazia, alimentato dalla competizione, dall’invidia e dall’avidità. Una guerra cosmica che portò presto alla distruzione di due lune, che, esplodendo, precipitarono sulla Terra dando vita agli attuali continenti. Alla luna superstite non restò che assumere in sé tutti quanti gli aspetti e le caratteristiche delle consorelle, cambiando così ogni volta dimensione e colore. La morale? La stessa dei nostri album precedenti: rivalità ed egoismo sono quasi sempre destinati e generare avvenimenti disastrosi, con la sola e unica consolazione che dalle ceneri possano nascere nuovi mondi.

...Questo e molto altro sul prossimo numero di Prog n.49! Dal 20 luglio in edicola e online.

 

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Come i Pink Floyd hanno creato BREATHE https://stonemusic.it/63575/dietro-the-dark-side-of-the-moon/ https://stonemusic.it/63575/dietro-the-dark-side-of-the-moon/#respond Thu, 06 Jul 2023 17:35:03 +0000 https://stonemusic.it/?p=63575 Il cuore, la pazzia, il bene, il male e tutto il resto. Un estratto della storia dietro le canzoni di THE DARK SIDE OF THE MOON, dallo Speciale dedicato a questo album leggendario!

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BREATHE

Musica: Gilmour, Wright - Testo: Waters

Intitolata Breathe nel gatefold interno dell’edizione originale dell’album e Breathe In The Air sull’etichetta del disco, nasce da una jam ai Broadhurst Gardens ed è una composizione che avvolge dolcemente con il suo lento 4/4. Nell’introduzione è guidata da Gilmour, che suona una Fender 1000 Twin Neck Pedal Steel acquistata di seconda mano a Seattle. Waters, però, ricorda che il chitarrista ricavò il suono dalla sua Stratocaster accordata aperta, appoggiata sulle ginocchia. Possibile che entrambi gli strumenti siano stati utilizzati nel corso delle session per il brano. Poi inizia la parte cantata: la voce del Gilmour è incisa su due tracce; l’Hammond e il Fender Rhodes contribuiscono a dare al brano un’atmosfera spaziale e onirica rafforzata dall’uso dello speaker Leslie per la chitarra ritmica e dello swelling (effetto violino). Nella sua performance, inoltre, Wright infila alla fine dei chorus un Re settima maggiore con nona aggiunta. “Vengo dal jazz”, spiegherà il musicista nel documentario Classic Albums: Pink Floyd – The Making Of The Dark Side Of The Moon diretto da Matthew Longfellow. “È la mia musica preferita, la mia fonte di ispirazione. La cosa interessante di questo pezzo, parlando di jazz, è che c’è un accordo speciale, un accordo che ho sentito in un album di Miles Davis. Era KIND OF BLUE, e c’era quell’accordo che io trovo favoloso. Quando eseguivamo Breathe, io suonavo in Sol. Come passare al Mi?”.

E allora “mi ricordai di quell’accordo. A casa cercai di ritrovarlo”. Ci riesce e funziona [per la cronaca, il pezzo di Davis è All Blues e al piano c’è Bill Evans]. Il testo è un invito che Waters rivolge a se stesso, principalmente, e agli altri. “Se c’è un messaggio centrale, è questo: la vita non è una prova generale”, spiegherà a «Uncut». “Per quanto ne sappiamo, e so che ci sono alcuni indù che non sarebbero d’accordo su questo, hai solo una possibilità e devi fare delle scelte basate su qualunque posizione morale, filosofica o politica tu possa adottare. Come dico nel primo verso, ‘respira, respira l’aria, non aver paura di preoccuparti’. Tu fai le scelte durante la tua vita, e quelle scelte sono influenzate da considerazioni politiche, dal denaro, dal lato oscuro di tutte le nostre nature. In qualche piccolo modo, hai la possibilità di rendere il mondo un posto più luminoso o più oscuro”. L’invito a respirare e a non aver paura di preoccuparsi per gli altri è rivolto a un bambino appena nato. E poi ci sono i consigli: crearsi una propria vita, difendere ciò in cui si crede, riposarsi, coltivare le proprie passioni, cercare il meglio per sé senza arrendersi alle pressioni che arrivano dal mondo contemporaneo (il consumismo, le ossessioni, la competitività, l’alienazione lavorativa).

Perché il rischio è un’omologazione frustrante (“corri, coniglio, corri, scava quella buca, dimentica il sole. E quando finalmente il lavoro è finito, non sederti, è ora di scavarne un’altra”). E correre in schiavitù “verso una tomba prematura”. La citazione del coniglio probabilmente viene da Run, Rabbit, Run, una music hall song portata al successo dal duo Flanagan and Allen durante la Seconda guerra mondiale. Ma può anche richiamare la divisione tra conigli e lupi da parte del rassegnato Harding in One Flew Over The Cuckoo’s Nest di Ken Kesey (“questo mondo... appartiene ai forti, amico mio! Il rituale dell’esistenza è basato sul fatto che i forti diventano più forti divorando i deboli. Dobbiamo rassegnarci a questo. È soltanto giusto che sia così. Dobbiamo imparare ad accettare questa situazione come una legge del mondo naturale. I conigli accettano la loro parte nel rituale e riconoscono il lupo come il forte”). In MUSIC FROM THE BODY, la colonna sonora composta da Waters con Ron Geesin nel 1970, c’è una ballad acustica scritta dal bassista intitolata anch’essa Breathe. È un pezzo sull’inquinamento (“respira l’aria, dirigiti verso il prato e assapora l’erba finché dura. A poco a poco le dita ragnatela dell’industria raggiungono il cielo”). E non ha nulla in comune con la traccia del lato oscuro della luna, fuorché, appunto, il verso “respira l’aria”.

La terza strofa è nella ripresa. “La decisione di collocare Breathe (Reprise) dopo Time è nata durante il processo di elaborazione del pezzo dal vivo, prima che iniziassimo a registrarla”, ricorderà nel 1998 Waters a «Mojo». “Breathe rappresentava la prima metà di un esperimento che consisteva nel riutilizzare la stessa melodia per due canzoni o, più precisamente, inserendo due sezioni completamente diverse al centro di due strofe, in modo che la canzone riprendesse dopo On The Run e Time”, scrive Mason in Inside Out. Ora niente steel né Hammond e Fender Rhodes, sostituiti questi ultimi dal Farfisa e dal Wurlitzer electronic piano. Il tema è quello del ritorno a casa in un quieto e verde villaggio inglese al fine di riposarsi, cercare di liberarsi dall’ossessione di essere produttivi, vivere l’attimo (e infatti durante la lavorazione in studio il pezzo s’intitola Home Again). L’atmosfera è distesa, ma si avverte un senso di sfinitezza.

Negli ultimi versi, con sottile ironia, Waters riconosce l’esistenza della religione ma la riduce a una superstizione poco rilevante per affrontare la vita (“lontano, oltre le campagne, il rintocco della campana di ferro ricorda ai fedeli di inginocchiarsi per ascoltare l’incantesimo magico pronunciato a bassa voce”). E ancora a «Uncut» confermerà la critica alle religioni organizzate che “distolgono dal nostro potenziale l’avere empatia con le altre persone”. Solo una volta Breathe è stata eseguita insieme alla “reprise” ed è avvenuto in occasione della reunion del 2005 per il Live 8 a Hyde Park.

Questo è solo un estratto tratto dallo speciale di The Dark Side of the Moon! Acquistalo in edicola o sul sito di Sprea.it!

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